Si deve costruire un'opposizione

Categoria: Italia

Eliminando tutte le vecchie cariatidi impresentabili

di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it

È la sindrome dell'usurpatore che ha inquinato la storia politica dell'Italia repubblicana. Usurpatore fu considerato da democristiani e comunisti Bettino Craxi: subì una guerra spietata che lo trasformò in un mostro corrotto. Nemmeno la sua risposta chiara, esplicita e coinvolgente (oltre che convincente) riuscì a intaccare l'ostracismo decretatogli da Berlinguer prima (sulla base dell'ipocrisia denominata «Questione morale») e da De Mita poi.

Il 3 luglio 1992, in piena Tangentopoli, alla Camera dei deputati, Craxi, fra l'altro, dichiarò: «E tuttavia, d'altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su appartati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all'uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.»

Tutti tacquero, nessuno si alzò, pensando che la vittima (Craxi e il Psi), isolata, sarebbe stata spazzata via dall'uragano. Invece, la Democrazia cristiana subito e, poi, il Pci-Pds, sono stati a loro volta spazzati via, da un metodo che trasforma in modo automatico gli avversari in criminali. Usurpatore fu subito dopo Silvio Berlusconi che impedì alla «Gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto di conquistare il potere, consolidando la vittoria politica ottenuta con l'aiuto della falange armata giudiziaria costruita da Luciano Violante. Niente paura. Il nuovo usurpatore fu subito messo a sua volta sotto accusa, tanto che, mentre a Napoli presiedeva in G8, gli venne notificato (nella sadica tempistica allora in voga) un avviso di garanzia. Non serve ricordare il numero di perquisizioni operate nelle aziende di Berlusconi. Né che in diversi processi (cui lui era estraneo e, quindi, non poteva difendersi) le sentenze gli attribuirono, a dispetto del calendario e della logica, alleanze e compromissioni mafiose.

La sindrome (psichiatrica) dell'usurpatore si manifestò e continuò a manifestarsi finché Giorgio Napolitano, con un atto di coraggio e di realismo riuscì a imporre un'alleanza destra-sinistra che assicurò (sino alla dissennata elezione di Mattarella) la governabilità del Paese e l'avvio di un processo di riforma. Fu un breve interregno, quello dell'imbelle Enrico Letta, tutto punti e virgole ma niente sostanza, finché il 21 febbraio 2014 non entrò a Palazzo Chigi Matteo Renzi, sull'onda di una storica vittoria congressuale. Il corpaccione del Pd, quadri venuti da lontano, come abbiamo visto, fece buon viso a cattivo gioco. Ma Renzi commise l'errore di Craxi (che aveva minacciato tuoni e fulmini senza mai bruciare nessuno): annunciò una rottamazione che si limitò al solo Massimo D'Alema.

Il rottamato erroneo, visto che dal suo apporto, Renzi e il suo partito avrebbero tratto benefici politici di rilievo, ben diversi da quelli, inesistenti, resi dalla signora Mogherini. Non rottamò tutto il resto, ciò che proveniva dalle segreterie dei segretari dei parlamentari, dai sottopancia della vecchia politica, dalle rendite di posizioni stratificatesi tra ministeri, enti, sindacato e patronati vari, compresi quelli parrocchiali, beneficiari di un fiume di quattrini pubblici destinati a un volontariato presunto.

Anche Renzi venne e viene considerato un usurpatore. Altrimenti non si spiegherebbero i toni delle nullità che hanno costituito il coro dei suoi avversari, nanetti e ballerine di antiche e squallide frequentazioni.

Anni luce fa, Cesare Previti, andando al governo, dichiarò che il suo partito, Forza Italia, non avrebbe fatto prigionieri. La dichiarazione suscitò lo scandalo di vergini e puritani. Era, invece, la ripresa dell'elementare insegnamento di Von Clausewitz, il teorico della guerra che raccomandava di utilizzare sino in fondo le vittorie, proprio per impedire le rivincite dei perdenti.

Ora, nel 2018, il successo elettorale della Lega e dei 5Stelle non ha ancora provocato la reazione patologica dell'usurpazione, ben nota. E per una semplice immediata constatazione. Il Pd, erede del Pci-Pds e della sinistra democristiana (la cosiddetta «sinistra economica», tutta ideologismi, puritanismi e legami indicibili con il sistema delle partecipazioni statali), si è dissolto per autoconsunzione, per pochezza del personale politico, per criminalizzazione dei suoi esponenti da altri operata. Il vecchio detto «Chi di coltello ferisce di coltello perisce» s'è di nuovo dimostrato fondato.

Di questa situazione, però, occorre trovare l'aspetto positivo. Esso consiste nella necessità, per coloro che si opporranno al governo Conte I, di inventarsi una piattaforma concorrenziale e alternativa, capace di attrarre cittadini ed elettori. Tanti, sino a formare una maggioranza. Mentre il «Partito a vocazione maggioritaria» di Valter Veltroni sorgeva sull'abbrivio di un governo amico (il Prodi II, poi silurato dal medesimo Veltroni oltre che da De Magistris e dalla pochezza del medesimo premier) e, quindi, aveva sin dall'inizio gonfie le vele di un vento favorevole, il partito o il movimento che affronterà la traversata impervia del dopo 4 marzo 2018, dovrà effettivamente scalare la montagna di una abissale lontananza da quel 51% che assicurerebbe un'alternanza con gli attuali governanti, quelli che oggi si insediano.

Comprendiamo tutti che si tratta di una «Mission impossible», al netto degli errori e dei pasticci che, inevitabilmente, una nuova casta, inesperta e incolta, potrà compiere. Ma al lordo di una capacità, inesplorata, di un leader dell'opposizione democratica (Renzi o Calenda) di costruire un partito nuovo, con strumenti comunicativi nuovi, con quadri nuovi (rottamando tutti proprio tutti i vecchi arnesi da Franceschini a Delrio), con un programma nuovo e alternativo.

«It's a long way to do.» Una scommessa da brividi che tuttavia, nell'interesse complessivo dell'Italia di destra di centro e di sinistra deve essere giocata.

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