L'imbroglio dell'immigrazione a danno dell'Italia ha la firma dei nostri governi

Categoria: Italia

Emmanuel Macron, è uno spericolato e cinico specialista del gioco delle tre tavolette che un tempo era un'esclusiva di Napoli

di Pierluigi Magnaschi, 28.6.2018 www.italiaoggi.it

Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, è uno spericolato e cinico specialista del gioco delle tre tavolette che un tempo era un'esclusiva di Napoli ma che adesso, come è successo del resto anche con la pizza, lo si fa in ogni parte del mondo. Il gioco delle tre tavolette è basato sull'abilità delle dita nel fare apparire come vero ciò che vero non è. Macron, al posto delle dita, usa le parole per cercare di trarre, in ogni caso, un vantaggio per sé o per il suo Paese. Ad esempio, il presidente della repubblica francese aveva proposto che gli hotspot venissero fatti in Italia dato che l'Italia è il paese di primo approdo per i migranti che, provenienti dall'Africa, attraversano il Mediterraneo. Gli hotspot sono delle aree recintate dove vengono trattenuti, e dal quale non possono allontanarsi, gli immigrati in attesa che le autorità accertino se sono dei profughi oppure se essi sono dei migranti economici e cioè se sono delle persone che fuggono dalle guerre e/o delle persecuzioni (primo caso) oppure che arrivano in Europa solo per migliorare le loro condizioni economiche (seconda ipotesi).

Macron è, notoriamente, un politico delicato, umanitario e generoso solo in casa d'altri. In casa sua, invece, fa gettare fuori dai treni, in malo modo, anche se con assoluta nonchalance, persino le immigrate visibilmente incinte, mentre per l'Italia è disposto a ogni tipo di generosa accoglienza nei confronti di chi cerca di entrare con la forza del ricatto (altrimenti rischiano di annegare) in un paese che non è il loro.

Quando gli hanno fatto notare (non ci voleva molto, del resto; e lui lo sapeva benissimo) che il termine hotspot non è così delicato come appare nella sua formulazione inglese e non profuma certo di gelsomino ma si traduce in italiano, del tutto correttamente, come «campo di concentramento», Macron ha avuto un momento (un attimo solo, eh!) di imbarazzo perché era a tutti evidente che se Macron stesso vuol farli in Europa, l'Italia non si oppone certo a che essi siano realizzati in Francia. Ipotesi, questa, che però non si affaccia nemmeno lontanamente nella mente del presidente della repubblica francese.

Per uscire dall'insostenibile impasse, Macron ha allora cambiato il vocabolario. Non parla più di hotspot ma di «centri chiusi» (che, se non sono zuppa, sono pan bagnato). Senonché non siamo più al tempo in cui si digerivano con grande disinvoltura le variazioni semantiche, prendendole come sostitutive dei problemi veri. Intendiamoci bene, se a Roma comandasse ancora la vecchia nomenclatura, questa variazione lessicale basterebbe per accettare l'inaccettabile posizione di Parigi («Ah, si tratta di fare dei “centri chiusi” e non degli hotspot? Beh, allora, in questo caso, si possono sicuramente fare. Ma non potevate essere più chiari fin dall'inizio?»).

Ma siccome (e in questo caso fortunatamente) a Palazzo Chigi non siedono più Berlusconi-Monti-Letta-Renzi-Gentiloni (ho fatto l'elenco dei premier responsabili di questo abominevole e inaccettabile stato di cose, per ricordare che, nel passaggio fra l'uno e l'altro governo, la sudditanza nel confronti degli interessi stranieri e, in questo caso, nei confronti di quelli transalpini, non è mai venuta meno), siccome, dicevo, a Palazzo Chigi non siedono più i soliti noti, ma altri leader politici che avranno poche idee ma quelle che hanno le sostengono con fermezza, è cambiata anche la musica.

Per Salvini (e per fortuna, per questo specifico argomento, ripeto, anche per l'Italia) i giochi di parole non servono più, né sono tenuti in grande considerazione i sofisticati balletti diplomatici che, in passato, hanno finito sempre per mettere l'Italia all'angolo. Per Salvini infatti l'Italia non può diventare la pattumiera umana dell'intero Vecchio continente. Ma questa posizione dignitosa (oltre che giusta) avrebbe dovuto essere stata anche quella sostenuta da tutti i ministri degli interni che lo hanno preceduto, con l'eccezione del solo Minniti che, a dire il vero, si è comportato da statista; e infatti, non solo è stato bocciato, alle ultime elezioni politiche, dall'elettorato piddino ma è stato anche guardato con sospetto da parte dello stesso Pd. Basti ricordare, in proposito, le allucinanti dichiarazioni da parte di Matteo Orfini, braccio destro di Renzi e grande papavero del Pd, che ha visto, nella sconfitta del suo partito, una specifica conseguenza dell'azione ministeriale di Minniti che, secondo lui, avrebbe avvantaggiato le tesi leghiste con la sua politica immigratoria.

È bastata un'affermazione in fondo ovvia del premier Conte («chiunque mette piede in Italia, lo mette in Europa») per far saltare tutti gli equilibri precedenti, basati sull'arroganza da una parte e sulla rassegnazione pecoreccia dall'altra. Ma se Macron si agita perché gli immigrati non finiscano in Francia (nemmeno come quota parte dello stock complessivo) è anche vero che questa situazione, per cui l'Italia è diventata il campo di concentramento di tutti gli immigrati provenienti dalla coste nordafricane, ciò è dovuto ai cinque ultimi governi italiani (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) che hanno approvato senza fiatare l'Accordo di Dublino, non solo nella sua formulazione iniziale ma anche nelle successive e ripetute revisioni, nonostante che queste norme avessero potuto essere facilmente bloccate, visto che accordi europei di questo tipo possono diventare operativi solo se c'è l'unanimità del consenso da parte di tutti i paesi interessati. Sarebbe perciò bastato che l'Italia, di fronte a queste norme iugulatorie, avesse detto no, che esse sarebbe immediatamente saltate.

Che cosa dicono queste norme? Che a chiunque approda in un paese Ue, si deve subito prendere le impronte digitali. Pertanto se, successivamente, l'immigrato approdato in Italia («paese di primo approdo») viene intercettato in un altro paese europeo dello spazio Schengen, esso viene automaticamente rinviato (senza dover ricorrere alla magistratura e alle sue macchinose e sempre aleatorie procedure) al paese di primo approdo che, a suo volta, non può rimpatriarlo altrettanto automaticamente nel paese di origine, primo, perché spesso non si sa da che paese il migrante sia arrivato, essendo esso quasi sempre privo di documenti, e, secondo, costui fa ogni resistenza possibile attraverso tutte le vie legali che, tra l'altro, gli vengono pagate a piè di lista dal paese dove è approdato.

Nel caso che i paesi europei abbiano dei confini terrestri rispetto ai paesi di possibile immigrazione (vedi rotta balcanica, bloccata facilmente in Turchia, anche se a caro prezzo, per la Ue) il flusso dei migranti è facilmente bloccabile. Nel caso invece che i confini siano marittimi (e il caso, in Europa, riguarda, per evidenti ragioni geografiche, solo l'Italia e in minima parte la Grecia) è necessario un massiccio pattugliamento europeo di navi militari per impedire il flusso delle imbarcazioni. L'Italia può salvarsi dal diventare un hotspot (o campo di concentramento) per tutto il resto dell'Europa solo se è l'Europa, con una forza navale multinazionale e a comando europeo, che provvede, non al trasporto dei migranti verso le coste italiane o greche, ma al blocco dei flussi con regole di ingaggio di tipo militare che non possono essere sostenute, anche politicamente, da un singolo paese.

È quello che quest'oggi chiederà Salvini in Europa (anche se i media scritti e digitali non lo spiegano bene). Ed è quello di cui non si sono mai interessati i cinque governi precedenti che, in questo campo, hanno operato, oggettivamente, contro l'Italia.

Pierluigi Magnaschi