Il Movimento 5 stelle ha profeti ma non ha dei leader

Categoria: Italia

Si offendono se li si definisce partito. Ma la loro disorganizzazione li porterà inevitabilmente a soccombere. La coabitazione con la Lega non durerà perciò a lungo

di Gianfranco Morra, 6.7.2018 da www.italiaoggi.it

M5S e Lega: ci hanno messo tre mesi per mettersi insieme, cercando di affievolire i contrasti e di enfatizzare i punti comuni in un «contratto di governo». Ora i due leader sono alla pari, entrambi vicepresidenti del consiglio e ministri importanti. E nessuno dei due mostra il desiderio di rompere il patto, entrambi si sforzano di mostrarsi concordi. Eppure le differenze e anche i contrasti emergono ogni giorno.

In una clima che i commentatori politici e gli stessi sostenitori del M5s e della Lega definiscono difficile, soprattutto perché l'uno appare tenue e un po' astratto rispetto all'altro, onnipresente e autoritario, che viene considerato come il personaggio più potente e decisivo del governo. Non v'è chi non veda la forte differenza caratteriale fra Di Maio e Salvini: più utopico e sognante il primo, più realistico e concreto il secondo.

Ma soprattutto ciò che ancor più emerge sono le differenze tra un movimento nato dalla fantasia di un comico e un partito da decenni fortemente organizzato e presente nel territorio. Il primo quasi del tutto privo di un ceto politico esperto e preparato, che ha dovuto nelle trattative per il governo cercare dei pezzi «extra moenia», anche per non ripetere i molti disastri dei suoi sindaci improvvisati e approssimativi.

Il secondo poteva contare su personaggi abituati da alcuni decenni a gestire il potere amministrativo, esperti nella burocrazia e nella finanza, sensibili ai desideri degli elettori. Nella gestione della cosa pubblica, quella administration con cui la lingua inglese indica tanto il potere centrale quanto quelli periferici, i pentastellati rispetto ai leghisti paiono come dei principianti e dei tirocinanti.

Ma la differenza maggiore è quella ideologica. Il M5s è soprattutto un movimento contestativo e utopico. Il suo grande mito è quello di mandare a casa le caste dei potenti e di sostituirle con le persone comuni, perché «ognuno vale uno». È la fine della democrazia rappresentativa del liberismo e la nascita di una nuova diretta e informatica. Magari estratta a sorte.

Questo mito è una fede religiosa salvifica. I fini concreti da realizzare, le tecniche e i metodi non hanno importanza. Ecco perché il M5s non ha in senso proprio una ideologia politica («non siamo né di sinistra né di destra», dice), né un convincente insieme di obiettivi programmati da raggiungere. Come non ha al suo interno correnti ideologiche distinte, ripropone l'autoritaria e tirannica «volonté générale» del Rousseau: «Non accetto correnti dentro il Movimento. O dentro o fuori» (Grillo).

Oggi la subalternazione di Di Maio al predominio di Salvini ha fatto nascere non poche contestazioni nella base del M5s. E gli stessi parlamentari pentastellati hanno chiesto di superare la gestione monocratica del Movimento e di creare un consiglio direttivo che limiti gli eccessivi poteri dal giovane e miracolato «capo».

È un movimento «aperto», che per molti anni ha avuto solo profeti e non leader, salvo poi a incoronarne uno con poteri sproporzionati e antidemocratici. Un movimento solitario, superbo della sua autonomia e del tutto incapace di tessere alleanze e coalizioni (come si è visto il 4 marzo e come hanno testimoniato gli enormi insuccessi nelle consultazioni elettorali seguenti). Che ha assorbito non poche idee dalla contestazione Sessantottesca (ecco l'odio per le grandi opere, il rifiuto dell'economia della condivisione e del lavoro domenicale, il reddito di cittadinanza, i lavori socialmente utili, il disprezzo per la medicina scientifica, l'esasperazione per la riforma dei «ciclisti della pizza», il disprezzo per i banchieri e gli industriali).

Non così la Lega, che ha tutte le strutture e le istituzioni del partito politico (organizzazione e presenza nel territorio e negli enti locali). Come in ogni partito, il «leader» è stato democraticamente eletto e non imposto dal Messia. E certo ha una ideologia, una collocazione sicura a destra, che non significa in alcun modo «fascismo», ma «sovranismo». Come ha un programma definito, che culmina nel rifiuto dello statalismo e del centralismo, nell'aumento del potere europeo dell'Italia e nel blocco della invasione islamica.

Il mondo della Lega è quello della Realpolitik, ch'essa ha attuata con esiti spesso buoni nelle più ricche e potenti regioni del paese. Questa maggiore forza ed efficacia deriva dalla permanenza di categorie e strutture del partito: la Lega vuole essere diversa dai vecchi «partiti-casta», ma non ha mai parlato di fine dei partiti e di gestione populista della democrazia.

Fin che la barca andrà, M5S e Lega resteranno insieme, ma i due movimenti sono troppo diversi e differenziati. E finiranno per separarsi, visto che Salvini ha accettato il governo con Di Maio, ma ha mantenuto stretto il legame col centrodestra, sempre più egemonizzato dalla Lega. Ora sono al governo insieme, ma, prima a poi, finiranno per essere i due poli antitetici della prossima consultazione elettorale. Vi si stanno già preparando.

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