Bloch e le categorie del populismo. La vocazione maggioritaria non esiste più

Categoria: Italia

C’è qualcuno che realisticamente crede che il prossimo segretario del Pd sarà anche il candidato premier di quel partito?

Le lettere al direttore 10 Agosto 2018 da www.ilfoglio.it

Al direttore - Pubblicato nel 1935 a Zurigo, “Eredità del nostro tempo” di Ernst Bloch è un magistrale saggio storico-sociologico sul crollo della Repubblica di Weimar e sull’avvento del nazismo. La sua introduzione si intitola “Polvere”. La metafora centrale del libro è infatti la polvere, che la piccola borghesia in rovina solleva nell’aria e che si diffonde rapidamente in tutto il Reich. Veicoli della polvere sono la distrazione e l’inebriamento di massa, le due categorie interpretative di cui si serve Bloch per esaminare l’ascesa di Hitler. Sotto la scura polvere che si alza in un’atmosfera cupa e minacciosa, non c’è una via d’uscita. Il finale, quindi, è già scritto. Mentre l’operaio senza lavoro non guardava più a Mosca, l’impiegato disoccupato si affida al Führer. In Europa, nei primi decenni del Novecento, la rabbia e la paura dei ceti medi impoveriti furono catturate e addomesticate da regimi totalitari. Oggi sono intercettate e coccolate da movimenti sovranisti e xenofobi. Passando a noi, spicca la crescente convergenza tra il populismo leghista e quello pentastellato, un mix di rivolta luddista e sovversivismo sociale. Nelle sacre rappresentazioni dei loro leader, gli abiti di Satana sono identici: lo stato dei padroni, la casta dei politicanti, la grande finanza, il complesso militare-industriale, i poteri forti, la massoneria, la “cricca” di Bilderberg. Nulla di scandaloso, perché il populismo non è un’ideologia, ma una sindrome basata su due radicate convinzioni: che il popolo sia depositario della verità e che sia, insieme, vittima di raggiri, inganni, persecuzioni. In questo senso, si può ben dire che il populismo è una religione neopagana in cui il popolo è Dio, un Dio che adora se stesso. Sul fuoco del populismo, poi, soffia la rete, vale a dire il maggior simbolo della modernità. Grazie al web vengono lanciate le crociate contro gli infedeli, i signori della Terra che tessono incessantemente i loro complotti per meglio dominare il mondo degli umili, dei deboli, dei servi della gleba. Mancano le prove e i documenti, ma che importa? La loro assenza, per questi seguaci a loro insaputa dell’esoterismo di Madame Blavatsky, è la migliore conferma che il Male agisce di nascosto. Nel frattempo, il Pd balbetta. Per ora dobbiamo registrare soltanto prediche moraleggianti contro il qualunquismo da osteria, la violenza verbale e l’isteria collettiva che dilagano nei blog contro il sapere scientifico e la democrazia rappresentativa. Ma una delle regole fondamentali del sistema parlamentare è non soltanto che esista un’opposizione, ma che questa opposizione sia efficace, sia cioè vista come una possibile alternativa di governo. Nulla di tutto ciò è attualmente all’orizzonte. Nel gioco per il potere le due dispensatrici della vittoria sono, per usare le famose categorie di Machiavelli, la fortuna o la virtù. Dalle parti di Largo del Nazareno sembrano mancare entrambe. Ma il partner di un gioco non può essere un perdente per predestinazione. Il perdente per predestinazione non è un giocatore, è tutt’al più un giocato (da altri). Emanuele Macaluso ama ripetere che il Pd non è un partito, ma un agglomerato politico-elettorale. Ha ragione, ma non è solo questo il punto. La verità è che ancora non si capisce (almeno chi scrive non capisce) cosa voglia fare da grande: rilanciare la sua vocazione maggioritaria con un progetto riformatore – e con un gruppo dirigente degno di questo nome – che sappia parlare a tutti gli italiani, o acconciarsi mestamente alla riedizione di un Ulivo in sedicesimo con i resti di una sinistra dispersa e in disarmo.

Michele Magno

C’è un dato solo apparentemente banale che ci può permettere di capire in che senso l’identità del Pd è finita in un congelatore. Un dato che coincide con una domanda: c’è qualcuno che realisticamente crede che il prossimo segretario del Pd sarà anche il candidato premier di quel partito? La risposta è no. E non è una risposta come le altre. Il Pd era nato per declinare la sua vocazione maggioritaria. La vocazione maggioritaria si declinava attraverso la coincidenza tra il ruolo del segretario e quello del candidato premier. Oggi non è più così. E far scendere il sipario sulla vocazione maggioritaria significa far scendere il sipario su ciò che un tempo doveva essere il Pd.