“Meglio che l’euro salti in aria”, dice Borghi

Categoria: Italia

Parla lo stratega economico di Salvini. “Tria sbaglia a pensare che il sistema si stabilizzi con dichiarazioni distensive. Alle europee del 2019 ci sarà la svolta”

di Valerio Valentini 15 Agosto 2018 da www.ilfoglio.it

Roma. “Ché poi io, a essere sinceri, queste cose le dico contro il mio interesse. Perché in effetti la mia speranza, come sapete, è un’altra”. Lo sbuffo, più di liberazione che d’insofferenza, arriva a metà della conversazione, quando ha già criticato, più o meno aspramente, sia Enzo Moavero sia Giovanni Tria. E allora Claudio Borghi si ferma, riflette e poi, quasi dismettendo qualsiasi dissimulazione, dice sorridendo: “La mia speranza è che l’euro salti per aria, e si volti finalmente pagina”. E pare di sentire lo spasimo del missionario, nelle sue parole, l’ansia di chi combatte una battaglia più per spirito di servizio, che non per convinzione personale.

Insomma, Borghi, chi glielo fa fare? “Nel contratto di governo – dice l’economista della Lega, consigliere finanziario di Matteo Salvini – non è contemplata l’uscita dall’euro, soluzione che io continuo a ritenere preferibile. Ma dato che non posso fare funzionare le cose come voglio io, cerco almeno di indicare una via che ci permetta di restare nella moneta unica in una maniera decente” . E sceglie dunque di farlo, in giorni in cui, per l’Italia, la tensione sui mercati finanziari è già altissima, paventando il rischio di collasso dell’euro? Borghi si lascia andare a una risata beffarda. E insomma sembra che un po’ ci si diverta, in questo suo ruolo di pietra dello scandalo social, di agitatore vero o presunto delle buriane agostane in Borsa. Non lo sente proprio, Borghi, il peso della responsabilità che pure dovrebbe derivargli dall’essere il consulente economico del vicepremier, il presidente della commissione Bilancio della Camera? “Faccio i tweet con la stessa leggerezza con cui li facevo anni fa, ma con più soddisfazione, perché ora tutti osservano quello che scrivo”. Anche a costo di generare maggiori turbolenze sui mercati per il nostro paese, dunque? “Ma non scherziamo. Sono i giornali che attribuiscono gli spostamenti del mercato ai miei tweet. E non è la prima volta. Faccio un esempio: a giudizio di molti quotidiani, e del Foglio in primis, le mie dichiarazioni facevano crollare il Monte dei Paschi in Borsa”. Non secondo i giornali: è stata la realtà dei fatti, ma magari fu una bizzarra coincidenza. “Sta di fatto che quando Tria, giorni fa, ha detto la cosa opposta, proponendo di mettere sul mercato Mps, il titolo non si è certo risollevato”. Empirismo un po’ furbastro, quello di Borghi, da cherubino che pretende d’esser loico. Ma lui subito incalza e ribatte che invece “è comoda la spiegazione di chi urla ‘Ha stato Borghi’: ma in verità i movimenti in Borsa hanno cause ben più concrete”. E cioè? “E cioè la fine della garanzia da parte della Bce sui titoli di stato. Io, con quel mio tweet, ho provato a dare una mano all’Eurotower: il Quantitative easing non può interrompersi”. Una consulenza non richiesta, addirittura.

“Sì – insiste Borghi, facendosi serio – perché è evidente che questi tassi di spread non sono giustificabili in alcun modo: scommettere sulla divergenza è demenziale. Se l’eurozona avesse un senso, i differenziali sarebbero nulli”. E s’innescherebbe il meccanismo perverso del moral hazard: non proprio un invito alla responsabilità, per investitori e speculatori finanziari. “E va bene: allora si ponga un limite a 150 punti base, che è già intollerabile, a mio avviso. Se nell’Eurozona vogliono mantenere e sostenere l’attuale struttura dei debiti sovrani, devono fare come dico io”. E cioè, sostanzialmente, invocare un intervento ancora più invadente da parte della Bce. Un commissariamento di fatto. “Ma no, vorrei solo che Francoforte continuasse la sua politica di acquisti di titoli di stato sul mercato secondario, aiutando gli stati membri dell’Eurozona. Mario Draghi ha fatto benissimo, a varare la stagione del whatever it takes: e lo ha fatto anche perché salvare la baracca è significato anche salvare il suo posto. Ora non ci si può fermare. Altrimenti, tanto vale fare come la Polonia, che nel mercato unico non c’è ancora entrata, forse capendo che i vantaggi, al momento, non si capisce bene quali siano”. E se però è tutto così lineare, così cristallino, perché, secondo Borghi, non tutti lo capiscono? “Lo capiscono”, corregge lui. “Ma alle élite ...”. Le élite? “Sì, diciamo pure i tedeschi”. Ebbene? “Ebbene, se si desse alla Bce il mandato di neutralizzare le perturbazioni, significherebbe prendere il toro per le corna e gridare che il re è nudo”. Un po’ vago, diciamo. “Insomma, alla Germania conviene che si continui con questo stato delle cose, così da poter tenere sotto ricatto gli altri paesi, usando il bastone”. Dunque, in sostanza, nessuna autocritica. “Certo che no. Sono convinto di avere fatto bene, a fare quei tweet. D’altronde, se è vero che, a differenza della liretta turca, l’euro ci permette di stare al riparo dalle speculazioni finanziarie”, se è vero insomma quel che ha detto il ministro degli Esteri Moavero al Foglio, “allora non si può certo sostenere che poi basta un tweet di Claudio Borghi per scatenare il pandemonio, no?”. Neppure il ministro Tria, però, sembra gradire molto le esternazioni arrembanti dei responsabili economici della maggioranza: anzi, pare ne abbia abbastanza di dovere fare da garante di un governo retto da un coalizione che si diverte a rendere inefficaci i suoi sforzi di tranquillizzare i mercati. “Siamo tutti abbastanza inesperti, come governanti. Giovanni si è assunto il ruolo del tranquillizzatore. Ma il suo errore è quello di pensare che con qualche dichiarazione rassicurante il sistema si stabilizza. Capisco che ciò è conforme col suo incarico di ministro dell’Economia, ma dev’essere chiaro a tutti che il comitato distensivo magari fa scendere lo spread per qualche giorno, ma non è che serve a risolvere nulla di strutturale”. E invece, com’è che si fa? “La svolta arriverà alle elezioni europee di primavera, come dice anche Luigi Di Maio. Lì, finalmente, potrebbero cambiare dei paradigmi a livello continentale. E proprio in vista di quell’appuntamento, trovo utile continuare a indicare i veri temi cruciali del dibattito”. Un avvertimento, dunque: non twitterà con meno frequenza, da qui a maggio 2019. “No, anche perché non vorrei che ci si riducesse poi a parlare di scemenze come quelle della troppa burocrazia o degli sprechi legati alle due sedi dell’Europarlamento. Non vorrei facessimo tutti come quelle persone un po’ strambe che si rifiutano di vedere l’elefante nella stanza”.