C’è una nuova guerra globale per dominare il Mediterraneo

Categoria: Italia

C’è un filo rosso che unisce i conflitti in Ucraina e in Siria, e non è solo la divisione dei blocchi

AGO 27, 2018  LORENZO VITA da www.occhidellaguerra.it

C’è un filo rosso che unisce i conflitti in Ucraina e in Siria, e non è solo la divisione dei blocchi. C’è dell’altro ed è un qualcosa di strategico che all’apparenza non sembra fondamentale, ma che in realtà è una delle tante chiavi di lettura per comprendere i conflitti che caratterizzano i nostri giorni: l’accesso al Mediterraneo.

Un mare ancora fondamentale

Nonostante sia stato considerato per molto tempo un mare quasi secondario rispetto ad altri fondamentali per le rotte mercantili e le materie prime, il Mediterraneo ha assunto in questi anni un valore molto più rilevante. Tutti vogliono entrarci e tutti vogliono mantenere le loro basi e i loro porti. E la sfida fra potenze non è solo per avere l’accesso a questo mare, ma anche per negarlo o per strappare queste porte.

In questo momento storico, il Mediterraneo è tornato a essere il perno della strategia di almeno due superpotenze: Russia e Stati Uniti. Ma anche la Cina sta iniziando un graduale percorso di inserimento. E nello stesso tempo, è evidente la volontà di Israele e Turchia di ergersi a nuove potenze marittime regionali per uno scacchiere, quello del Mediterraneo orientale, che rappresenta la chiave per comprendere il futuro di tutta la regione. A questo si aggiunge la centralità dei Paesi europei e dell’Unione europea, sia come mercati che potenze regionali. E non va sottovalutato il ruolo dell’Iran, che ricerca l’acceso a questo mare.

L’accesso al Mediterraneo e la crisi in Ucraina

La guerra in Ucraina, che da anni sconvolge tutta l’area a nord del Mar Nero, è stata letta sotto numerosi aspetti. Ma quello che è stato spesso sottovalutato è il ruolo che ha avuto per la Russia e per la Nato la questione della penisola della Crimea. Perché è così importante questo aspetto? Perché la perdita dell’asse con Kiev avrebbe rappresentato, per Mosca, la perdita del porto di Sebastopoli, considerato il perno della strategia russa nel Mediterraneo allargato, che comprende anche il Mar Nero.

La strategia navale russa per il Mediterraneo si incentra sull’esistenza di due bracci: uno nel Baltico e uno nel Mar Nero. Se l’acceso al Baltico è garantito in particolare dai porti di Kaliningrad, di San Pietroburgo (soprattutto a livello commerciale) e dei mari settentrionali, quella a sud è sempre stata incentrata sul mar Nero. Non a caso la Russia ha mantenuto in Crimea il suo porto principale nel Mar Nero e ha sempre sostenuto la lotta per la secessione dell’Abkhazia, regione che ha tolto alla Georgia una larga parte di costa.

La perdita dell’Ucraina come alleato naturale del Cremlino avrebbe quindi messo a repentaglio l’intero progetto russo per l’acceso al Mediterraneo. Ed è anche per questo che la Nato ha voluto a tutti i costi sostenere il cambio di governo in Ucraina: per minare nel profondo le possibilità di Mosca di accedere al mare. Un’ipotesi che Vladimir Putin ha evitato con il referendum per l’annessione della Crimea e con il rafforzamento del porto di Sebastopoli non appena avuta la certezza del mantenimento dell’arsenale navale.

La guerra in Siria è anche una guerra per il Mediterraneo

La guerra in Siria è stata letta sotto molteplici punti di vista. Ma quello che è certo è che anche questo conflitto può essere letto sotto la lente di ingrandimento dell’accesso al Mediterraneo. E lo può essere visto a seconda dei diversi attori coinvolti nel conflitto.

Innanzitutto, sui motivi dello scoppio della guerra, è stato spesso (e giustamente) considerato il tema della mezzaluna sciita, cioè quel corridoio politico, militare ed economico che avrebbe legato l’Iran a Hezbollah in Libano. Ebbene, in questo caso è del tutto evidente che quello che si è voluto evitare è interrompere le possibilità che Teheran si collegasse al Mediterraneo. Israele ha subito considerati questa prospettiva una minaccia esistenziale.

Come unica potenza regionale in grado di sfidare la leadership israeliana e degli alleati degli Stati Uniti, l’Iran nel Mediterraneo avrebbe rappresentato il coronamento del sogno persiano ma anche una clamorosa sconfitta per Israele che non ha mai voluto né che si creasse un corridoio fisico fra Hezbollah e Teheran né che quest’ultima potesse avere una base nel suo stesso mare. Ipotesi che è stata spesso considerata dagli strateghi delle Israel defense forces (Idf).

Ma l’acceso al Mediterraneo orientale è stato anche uno dei motivi dell’intervento russo al fianco di Bashar al Assad e dell’interesse americano nel conflitto. La Russia aveva (e continua ad avere) in Siria la sua unica base navale del Mediterraneo: Tartus. Questa, insieme all’aeroporto di Khmeimim è il fulcro dello scacchiere russo in Medio Oriente. Perdere un governo alleato in Siria significava, tra le altre cose, anche perdere queste basi che per Mosca sono più che preziose, sono vitali.

Per il Pentagono era fondamentale evitare che i russi mantenessero quelle basi. E ancora una volta, anche se lo scontro tra le due superpotenze è stato incentrato su altre tematiche, il Mediterraneo ha assunto un ruolo centrale.

Turchia e curdi: una guerra nella guerra

C’è anche un’altra guerra interna a quella in Siria che ha come terreno di scontro la via verso il Mediterraneo: quella fra Turchia e curdi. L’obiettivo curdo è sempre stato quello di arrivare al Mediterraneo o, nella peggiore delle ipotesi, avvicinarvisi il più possibile.

Lo scrisse anche l’Observer un anno fa quando, citando un alto funzionario curdo, parlò del sogno curdo di trovare un corridoio da Raqqa al mare. Un sogno che aveva uno scopo molto pragmatico: l’accesso al mare significava sbloccare l’isolamento terrestro del Kurdistan. “Arrivare al Mediterraneo è nel nostro progetto per la Siria settentrionale”, queste le parole di Hediya Yousef, capo del progetto per il federalismo curdo

Ed è anche per questo che Recep Tayyip Erdogan si è deciso a intervenire pesantemente in Siria occupando prima Jarabulus, poi Afrin, ma soprattutto imponendosi come responsabile del governatorato di Idlib: solo così poteva separare definitivamente i curdi dal mare e dalle coste turche del Mediterraneo orientale. E sembra, per ora esserci riuscito.