Fragili applausi e slogan spaventati: ecco la piazza incerta del Pd

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La manifestazione di piazza del Popolo sembra consegnare, insieme a un Martina con un piglio da leader, solo una grande domanda. Oltre le bandiere europee, oltre le ironie sul palco, resta un gigantesco: «E adesso?»

di Fulvio Abbate 1 Ottobre 2018 - 05:57 www.linkiesta.it

Ieri pomeriggio, domenica, piazza del Popolo avrebbe potuto chiamarsi anche piazza dell’Incertezza, nel senso politico di una sorta di seconda scelta rispetto all’esclusa, oceanica, piazza San Giovanni. Certo, ci sarebbe da citare anche piazza Santissimi Apostoli, ma al Pd hanno calcolato che quest’ultima scelta sarebbe stata davvero troppo, quasi dichiarare un possibile forfait. Alla fine il risultato è stato comunque soddisfacente per gli scommettitori dem.

Ma ora, intanto che mi avvio verso la piazza, ecco che mi si presenta una domanda assoluta, forse addirittura pasoliniana, nel senso del destino: come è fatto, nell’anno di grazia e di macerie 2018, il volto del simpatizzante del Pd o comunque di chi abbia scelto di rispondere all’appello pubblico di una forza politica che si reputi e dichiari progressista? Lungo le direttrici del Tridente, le stesse che portano dritto dritto a piazza del Popolo, le facce sono soprattutto di turisti o degli ormai radi residenti del centro storico, prendi il caso di via della Scrofa, dietro alla quale si nasconde via Leccosa, proprio dove, perdonate la citazione neorealistica, Umberto D. immagina di abbandonare in una pensione da straccioni il suo amato cane Flike, un riferimento doveroso se bisogna pur pensare e immaginare le radici, gli antenati, di chi si dissocia dal populismo sovranista, forse anche fascistoide, e infatti ha scelto di mostrarsi in piazza.

Il primo esatto momento in cui la massa dello struscio viene contraddetta dai convenuti alla manifestazione tuttavia non c’è ancora all’altezza di dov’era la leggendaria sede del Partito socialista di Nenni e poi del Garofano. Non una faccia che possa già far supporre “l’invasione pacifica” da parte del popolo del Pd, la Roma dei comizi. Già, la prima bandiera, europea, sventola, più o meno, all’altezza di dove era il negozio di “Piero il Fichissimo”, leggendaria bottega di jeans e giubbotti di pelle, anch’esso ormai sprangato.

Il regista Wim Wenders in un suo film ha mostrato le persone smarrite del mattino sui mezzi pubblici e nei bar, provando a indovinarne i pensieri, sovrapponendo le voci di ciò che presumibilmente stessero in quel momento immaginando, gli affanni, le attese, le paure. Sarebbe interessante, al di là d’ogni espressione, dei gesti e dei vessilli sottobraccio, provare a sondare cosa pensino le creature, adulti e ragazzi, che adesso si mostrano in una piazza per intero gremita, quasi impenetrabile. Ma noi lo sappiamo che non sono la piazze, questo genere di piazze della risposta emotiva al vuoto, un indicatore esatto dei reali umori di chi, in questo caso, vorrebbe rispondere a ben altri rumori, cioè un sentimento razzista, xenofobo, semplificatorio, il precipitato ultimo di un sentimento reazionario endemico nella società, tutta roba che Salvini e Di Maio ben rappresentano. Tutto ciò al di là di ciò che suggeriva Pietro Nenni: "Piazza piene, urne vuote”. Ma c’è intanto un dettaglio per nulla secondario che serve a far riflettere sul dopo, sulla Caduta, ed è quello delle divise del “servizio d’ordine” preposto a rendere fluida e sicura la piazza, non più semplici militanti con la fascia al braccio, ma una ditta di servizi preposta alla sicurezza, “National service”.

Ogni tanto, rivolto al palco, si solleva un applauso né impetuoso né corposo, un applauso crescente eppure fragile, un applauso crepato, crepato al suo interno dall’incertezza, dai dubbi, segno che non è chiaro quanto questo partito odierno possa essere il Bostik delle macerie sotto gli occhi di tutti. Anche gli slogan: “Più cultura e meno paura”; “Per l’Italia che non ha paura” parlano di un gioco in difesa. È noto, quando si invoca la paura si è già nella zona che anticipa il panico, ossia la sensazione d’essere comunque inermi rispetto a ogni emergenza, sia esso un fascismo sempre insorgente in questo paese sia esso ciò che dovrà essere, quali passi, quale fisionomia politica? Ma per far questo bisognerebbe averne coscienza, e contezza, della storia, e non memoria da pesci rossi. Molti giungono dalla Toscana, e Renzi è ancora nel loro cuore, reputano che si debba lasciarlo lavorare.

Dal palco si solleva un applauso né impetuoso né corposo, un applauso fragile, crepato, crepato al suo interno, segno che non è chiaro quanto questi possa essere il Bostik delle macerie sotto gli occhi di tutti. Gli slogan: “Più cultura è meno paura”; “Per l’Italia che non ha paura”. Forse quando si invoca la paura siamo già in zona che precede il panico

Sul palco si succedono i gioielli spettacolari di famiglia, ecco, metti, l’ironia di Paolo Hendel, ecco il sorriso sarcastico di chi lo ascolta e sembra dire a se stesso: “Siamo noi i più intelligenti, i più ironici”, ma è tuttavia un riso trattenuto, amaro, forse anche fuori tempo massimo. E le bandiere dell’Europa meriterebbero una trattazione a parte, le trovi inframmezzate a quelle quasi scadute del Pd, all’immancabile bandiera dei Sardi, a un’altra della pace, all’arancione dei Giovani Democratici; sarà capace il Pd di convincere che si tratti di quella sognata a Ventotene da Altiero Spinelli e non di coloro, “i burocrati infami di Bruxelles”, la cui semplice presenza suggerisce l’immagine dei vampiri che minacciano i nostri risparmi? Nuovo fantoccio che sembra avere sostituito ciò in altri tempi era il rimando alla demo-plutocrazia giudaica di Wall Street?

Passione e ideologia, diceva qualcuno, ma qui forse neppure un palombaro saprebbe con esattezza scorgere queste categorie dell’essere e dell’emozione politici, tutt’al più qui si scorge smarrimento, che sembra riassumersi in una sola locuzione: “E adesso?” e non certo il “Che fare” di secoli addietro. E intanto il paese cosiddetto reale, dedito allo struscio che dal fondo di via del Corso getta un occhio distratto sull’orizzonte imbiancato dalle bandiere a cosa penserà? Forse a nulla, giusto mezzo sguardo e poi rieccolo che si precipita verso le vetrine di “Original marines” o del merchandising ufficiale della A.S. Roma. Addio ciò che accennava a “un paese pulito in un paese sporco, un paese umanista in un paese consumista” pensando all’opposizione.

Forse, gli unici che qui dormono sonni tranquilli sono i garantiti, un gruppo dirigente sordo ad ogni sollecitazione, certo che l’obiettivo della salvezza della democrazia passi per la salvaguardia delle proprie rendita di posizione. Stupidi noi, abbiamo detto che dopo l’ultima disfatta elettorale si sarebbe dovuta mettere in campo “la primavera“ come avvenne col Grande Torino

L’applauso che risponde alle parole nette di Martina affinché la Lega di Salvini restituisca i 49 milioni di euro non sembra essere convinto all'inizio, ma infine cresce, cresce, quasi a decretare l’attuale reggente come possibile leader. Quali parole occorrerebbero per avere coscienza di esserci, quali parole esatte in questa battaglia tutta in difesa, posto che, sempre come diceva qualcuno, il sentimento reazionario sempre rassicura e riscalda in tempi di crisi economica, ed è la semplificazione che la subcultura sovranista porge come fosse un vermouth ristoratore, anzi, l’apericena.

Forse, gli unici che qui dormono sonni tranquilli sono i garantiti, il gruppo dirigente sordo ad ogni sollecitazione, convinto che l’obiettivo della salvezza della democrazia passi per la salvaguardia delle proprie rendita di posizione. E allora stupido chi, dopo l’ultima disfatta elettorale, ha suggerito che si sarebbe dovuta mettere in campo “la primavera”, come avvenne col Grande Torino dopo la tragedia di Superga.

Alla fine la folla sciama lontano dalla piazza con le note di “Born To Run” di Springsteen.

P.S. Al momento di andare via ritrovo Filippo Sensi, deputato del PD, @nompuf su Twitter, uomo colto e di mondo, e subito non posso fare a meno di esprimergli la mia assoluta stima per le vignette attraverso cui ci restituisce la miseria del presente politico, ma basterà la sua puntuta ironia a salvarci dalla sensazione del grado zero?

Quanto a Martina, è davvero piaciuto. Lo capisco dalla battuta crudele che mi porge poco dopo Franco Trevisi, già tra i protagonisti de “La piovra 3” nei panni del perfido trafficante d’armi Kemal Yfter, si avvicina e, euforico per aver trovato nel reggente Maurizio un tribuno dalla voce possente, mi fa: “Ma che gli hai portato la cocaina a Martina?”, e così se ne va, rassicurato ed euforico pensando che forse non tutto sia paura, non tutto sia autunno di un’opposizione fragile, perduta