Dis-integrare l’Europa adesso è possibile

La manovra 2,4 è un fatto che può produrre un elemento di graduale e concordata dis-integrazione dell’assetto europeo. Lo dicono i populisti ma lo affermano pure i guru della City e di Wall Street. E se l’Italia avesse il coltello dalla parte del manico?

di Giuliano Ferrara 26 Ottobre 2018 www.ilfoglio.it

Commenti 3

Avanziamo un’ipotesi. Parigi e Berlino non sono in grado di produrre fatti di rilievo che modifichino l’assetto europeo nel senso di una maggiore integrazione e autorità comune condivisa. La manovra del governo italiano, per quanto proceda per ora nell’isolamento e sia sottoposta a un esame normativo severo della Commissione, risulterebbe essa sì il “fatto” capace di produrre un elemento di graduale e magari concordata dis-integrazione. Alla unilateralità e violenza simbolica del blocco dei porti deciso dal Truce non c’è stata risposta altro che timida e caso per caso. Lo stesso potrebbe accadere per la unilateralità e protervia simbolica del governo in deficit deciso da Roma, ma con conseguenze ben più pesanti per l’intera area dell’euro. La sola Commissione, per di più in tempi elettorali complicati, non sembra in grado di reggere senza un ambiguo compromesso, e la prospettiva di una crisi di mercato delle banche e del sistema di finanza pubblica italiani si rovescerebbe in un caos comune che nessuno auspica.

Lexit sta per Left-exit. Via dall’unione e dall’euro, ma su basi di sinistra. C’è anche un padre nobile di un’eventuale Europa post liberista. I lexiteers citano un Keynes del 1936, sorprendente nonostante si tratti di un altro mondo e in certo senso di un altro Keynes, che però proprio in quegli anni pubblicava e ristampava la sua Teoria generale: “Lasciamo che le merci siano prodotte in casa ogniqualvolta è possibile e conveniente, e sopra tutto lasciamo che la finanza sia principalmente nazionale”. Cito da una recensione (Adam Tooze), nella London Review of Books (13 settembre), di una nuova biografia di Keynes scritta da Geoff Mann. Qui non si parla di Varoufakis o di Mélenchon, e nemmeno dello staff di economisti della Casa Bianca o della recente manovra del governo italiano in urto con le regole della finanza sovra nazionale europea e con le reazioni diffidenti dei mercati internazionali, qui si parla di uno dei creatori del mondo moderno, John Maynard Keynes, un liberale riformista che si opponeva ai liberisti e fu architetto dell’interventismo statale allo scopo di rendere il capitalismo compatibile con la democrazia.

Ora pare che Keynes, dopo l’eclissi dovuta alla rivoluzione neoliberista e globalizzatrice, pro mercato, degli ultimi decenni del Novecento, dopo Thatcher e Reagan, sia stato vendicato dalla crisi del 2008, quando – come racconta Tooze – Ben Bernanke disse, precisamente il 18 settembre di quell’anno: “Se non facciamo questo, potremmo non avere più un’economia a partire da lunedì”. “Questo” era il bail out, il salvataggio, del sistema bancario americano e mondiale da parte di Casa Bianca e Congresso e Federal Reserve, i poteri federali, pubblici, di lì in avanti impegnati in uno stimolo keynesiano come non se ne erano probabilmente mai visti. Si tratterà dunque di stabilire la compatibilità del capitalismo e della democrazia, come voleva il maestro, ma stavolta di una democrazia illiberale. Questi riferimenti hanno una spiegazione non erudita, non sia mai, e non cerebrale, non sia mai.

Voglio dire che l’idea europeista è politica, discende dalla vittoria alleata nella Seconda guerra mondiale e ne è il prolungamento, da Adenauer e Schuman e Monnet fino allo scambio Maastricht e euro contro la riunificazione tedesca (fine della Guerra fredda e fine della storia, almeno per Fukuyama), Mitterrand e Kohl. Il contenuto economico e sociale di questa idea politica è o si è progressivamente definito, su basi sempre più chiare, come un assetto di tipo liberale, l’opposto della citazione da Keynes del 1936: le merci non sono homespun, fatte in casa, alla fine nemmeno quel particolare tipo di merce che è la moneta, e la finanza è globale, interdipendente, non può essere nazionale. Ora, se Keynes è stato vendicato, l’Europa liberista è nei guai. Altro che Varoufakis, Mélenchon e Toninelli. E perfino le manovre e i comizi di un Truce si riflettono nello specchio di un passaggio più serio e più grande.

Noi pensiamo, ed è parzialmente vero, che la manovra del primo vero governo nazionalpopulista europeo, quello italiano, è un pasticcio insostenibile dovuto alla caccia inesausta al consenso, alla demagogia, al rabbioso revanscismo dei dimenticati della politica una volta fattisi maggioranza in nome dei dimenticati della società. Ma è vero anche che il giornale del Dow Jones, il Wall Street Journal, da sempre ostile ai bilanci tecnocraticamente sorvegliati dall’élite di Bruxelles, scrive a tutte lettere: nella manovra c’è un abbozzo di flat tax, ottima premessa e promessa, e poi ci sono molte spese improduttive e clientelari, i burocrati europei non sono capaci di distinguere e di spingere per stimoli di mercato alla crescita, fanno il lavoro di guardiani di compatibilità fiscali astratte e perniciose, fuck. E il giornale della City, il Financial Times, avverte nello scontro tra Italia e Ue un sapore da crisi greca, perché un bilancio sballato fa correre a tutti il rischio della contaminazione, ma sostiene:

(1) che l’Italia non vive al di sopra dei suoi mezzi, avendo un avanzo primario e una buona bilancia commerciale; e che (2) il debito è per la maggior parte interno, quindi la polemica sulla sua gestione o addirittura ristrutturazione è meno efficace di quanto lo fosse quando Atene era indebitata direttamente con i partner; infine (3) che l’Italia è abbastanza forte per minacciare credibilmente l’uscita dall’euro e dall’Unione, non la si governa come l’economia greca che le è inferiore di dieci volte; e (4) prima di castigarla per la sua superbia fiscale bisognerebbe che i meccanismi di salvataggio, solidarietà e garanzia del resto del sistema sovranazionale siano attivati o attivabili, altrimenti la contaminazione della crisi bancaria, che è il vero problema dietro alla gestione del debito pubblico italiano, non risparmierebbe nessuno (opinione di Isabelle Mateos y Lago, ex Fmi).

  

Insomma, violando le regole il governo populista non causa di per sé una crisi nazionale e di mercato, sempre possibile e estremamente pericolosa per l’economia italiana delle imprese e delle banche e delle famiglie e dei giovani, ma postula una nuova regola di dis-integrazione del sistema euro; e comunque una tempesta di mercato, a differenza che nel caso greco, investirebbe in pieno, di concerto con la guerra trumpiana dei dazi, con le minacce al commercio e all’esportazione di beni su scala globale, con le conseguenze eventuali di una hard Brexit, l’Unione europea, forzando la ricerca di un nuovo compromesso, di nuovi Trattati, di un nuovo assetto e forse di una nuova realtà monetaria che sancirebbe il fallimento dell’euro come strumento di convergenza virtuosa delle economie di mercato. La Grecia è stata per così dire rimessa in ordine, l’Italia ha la forza e la fragilità necessarie per provocare un grande disordine europeo. Lo affermano con discreto cinismo i guru di Wall Street e della City. Lo si suggerisce perfino nel nome di Keynes e della sua vendetta postuma.

Commenti

Lupimor 26 Ottobre 2018 - 15:03

“Avanziamo un’ipotesi. Parigi e Berlino non sono in grado … “ Il principio di realtà, lo stesso che alimenta l’ottimismo, corregge: “Constatiamo, non da oggi, che Parigi e Berlino non sono in grado di produrre fatti di rilievo che modifichino l’assetto europeo nel senso di una maggiore integrazione e autorità comune condivisa.” Ora ci siamo. Il governo grillozzi/truce non fa altro che cercare, tentare, di sfruttare a proprio vantaggio la “constatazione”. Non disgregano, nel senso che non c’è alcun aggregato politico. I primi e più potenti sovranisti sono Parigi e Berlino, la retorica sta a zero, che temono di dover lasciare i loro poteri in mano al cosiddetto “popolo legislatore”. Non c’è spazio per sviluppare il diabolico concetto che è alla base della definizione. Ma caro Ferrara, lei sa assai meglio di me, cosa sottintenda. Auguri per domani.

Rispondifabio.ferrini 26 Ottobre 2018 - 14:02

Si tende con una cera costanza a considerare il piano B evocato da Savona come un qualcosa di potenzialmente efficace e dirompente. In realtà avere un piano B ed esporlo con largo, larghissimo anticipo, lo declassa immediatamente ad inefficace. Lo insegna la teoria dei giochi o, più semplicemente il gioco delle carte. Non si deve mai, assolutamente mai rendere evidente il proprio gioco, magari facendo vedere anche le carte. L'errore che viene fatto dai teorici del piano B è dai commentatori è quello di considerare gli altri attori in gioco degli allocchi. Anche questo si impara dalla teoria dei giochi: mai sottovalutare un concorrente. I sovranisti sottovalutano tutto. E non si sono ancora accorti che gli amico europei ci hanno chiuso dentro una stanza di cemento armato dove saremo finalmente liberi di farci saltare in aria senza troppi patemi o problemi per gli altri. Non ci sarà contagio. Sentiranno un gran botto. Solamente.

RispondiGiovanni 26 Ottobre 2018 - 13:01

Caro Ferrara, francamente io non credo che l'Ue possa essere disintegrata da un eventuale uscita dell'Italia o dei Visegrad da essa. Anzi credo che se il nostro disgraziato paese ne uscisse per l'Unione sarebbe assai meglio. Il corpo forte dell'UE è fatto dalla Germania, dalla Francia dall'Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia, Belgio, Irlanda, Portogallo, Grecia e Spagna. Per tutti costoro potrebbe anche essere vantaggioso togliersi dai piedi un Paese come il nostro che chiede continuamente elemosine e favori a tutti, persino ai russi, che non fa altro che lamentarsi e accusare dei propri errori la UE e il mondo intero. Non solo ma potrebbe essere per loro vantaggioso togliersi di mezzo un fastidioso concorrente.

RispondiDBartalesi 26 Ottobre 2018 - 11:11

Lei è una vecchia talpa... dalla vista lunga! Perchè è vero, grande è il dis-ordine sotto il cielo! Non solo sotto il "nostro" o quello d'Europa, ma di tutto il "vecchio continente". Una dis-integrazione o un dis-ordine in atto che significano un periodo di grande cambiamento, dove la temuta distruzione potrebbe diventare creazione. Di nuovi soggetti politici, che ci stanno già attorno, di un nuovo assetto geopolitico della nostra fetta di mondo industrializzato. E certo che non basta gridare viva l'Europa per combattere i "sovranisti". Che poi, a questo punto così ragionando, potrebbero anche essere i nuovi strani attori che la Storia ha deciso di utilizzare per rompere e ricomporre uno schema di gioco che non regge più. E non piace a molti popoli, forse anche con qualche buona ragione. .

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata