Mentre noi parliamo di migranti, i capitali fuggono dall’Italia (e questa sì, è una vera emergenza)

Categoria: Italia

Nel 2018, 118 miliardi sono usciti dall’Italia. Ad abbandonare il Paese, capitali stranieri e italiani. Colpa del debito pubblico eccessivo, della crescita asfittica e della produttività al palo. Ma da noi tutto questo non è mai un problema. È solo il primo di una lunga serie di alibi

Francesco Cancellato 28.1.2019 www.linkiesta.it

118 miliardi di euro in fuga dall’Italia. Mentre noi parliamo di emergenza migranti e andiamo lancia in resta contro il resto del continente alla ricerca di incidenti diplomatici contro Bruxelles, Parigi, Amsterdam, la finanza globale sta scappando dall’Italia a gambe levate, evidentemente preoccupata dal nostro mix letale tra debito pubblico gigante (che sale) e crescita economia asfittica (che si sgonfia), ma anche dallo stallo totale della produttività delle nostre imprese, problema enorme cui il governo gialloverde si è dimostrato totalmente indifferente, tanto da aver sforbiciato gli investimenti del piano Industria 4.0.

E siccome i capitali leggono i numeri, non i titoli dei giornali, ciao ciao Italia. A parlarne è stato Giampaolo Galli, economista che lavora all’Osservatorio sui conti pubblici italiani guidato da Carlo Cottarelli e che sa leggere quel che c’è scritto in un bollettino della Banca d’Italia. In quello pubblicato lo scorso 18 gennaio, in particolare. Osserva, Galli, che nel 2018 gli investitori esteri hanno tolto 36 miliardi dal debito pubblico italiano e 26 miliardi dalle imprese italiane, per metterli altrove. A questo, vanno aggiunti 56 miliardi circa di capitali italiani che, sempre nel 2018, sono stati investiti oltre confine. Il totale? 118 miliardi, per l’appunto.

Un punto di Pil vale circa 20 miliardi di euro: fate i vostri conti. Cosa sarebbe l’Italia se quei 118 miliardi stessero entrando, anziché scappando? Quanti investimenti riusciremmo a fare, senza aumentare il debito pubblico, se riuscissimo ad attrarre capitali, anziché farli fuggire? E quanta crescita riusciremmo a generare con investimenti tali da rendere le nostre imprese tecnologicamente avanzate e competitive, e le infrastrutture al loro servizio più moderne e efficienti? Quanta di questa crescita riusciremmo a redistribuire ai ceti meno abbienti, col gettito fiscale di un Paese che investe e cresce? E quante assurde guerre tra poveri, tra disperati alla deriva e terremotati al freddo e al gelo, ci risparmieremmo?

Cosa sarebbe l’Italia se quei 118 miliardi stessero entrando, anziché scappando? Quanti investimenti riusciremmo a fare, senza aumentare il debito pubblico, se riuscissimo ad attrarre capitali, anziché farli fuggire?

Il fallimento, già oggi conclamato, del governo gialloverde - e più in generale dei sovranisti economici - sta tutto qua. Nella battaglia senza quartiere a quei capitali d’investimento esteri che invece sono l’unica panacea possibile per un sistema economico malato come il nostro. Nel non voler capire quanto sia necessario attrarre capitali e tecnologie per aumentare la produttività delle imprese italiane. Nell’essersi convinti ed averci convinto, come certifica l’ultima legge di bilancio, che la redistribuzione della ricchezza verso pensionati e disoccupati possa magicamente produrre crescita economica.

Il risultato già lo conosciamo: le nostre aziende finiranno prima o poi spiazzate da un’economia globale che va avanti a strappi, una rivoluzione industriale dopo l’altra, incapaci di rispondere alle sollecitazioni delle tecnologie che cambiano dall’assenza di capitali e di idee, e da un sistema che non fa nulla per aiutarle a cambiare, tutto proteso com’è alla ricerca di ammortizzatori e alibi. A proposito: scommettiamo che la finanza brutta e cattiva, quella di Soros e dei Savi di Sion, sarà il primo della lista?