1-CALTA & DEL VECCHIO? ORMAI NON SONO SOLO I FRANCESI CHE SI PAPPANO LE AZIENDE ITALIANE

Categoria: Italia

SONO GLI ITALIANI CHE ISOLDI LI METTONO IN FRANCIA! 2-L’italia non è più Italiana.

I Luca Piana per “Affari & Finanza - la Repubblica” da dagospia.com

1-DUE HANNO INVESTITO ALTRI 300 MILIONI A TESTA PER SALIRE IN GENERALI, E I LORO GRUPPI SI BUTTANO ALL'ESTERO. GLI OCCHIALI LUXOTTICA HANNO LA TESTA A PARIGI, MENTRE IL COSTRUTTORE ROMANO INVESTE IN SUEZ

Chissà cos' è successo il 22 novembre. Quel giorno è stato l' ultimo in cui Leonardo Del Vecchio non abbia acquistato titoli Generali. Dalla mattina successiva in Borsa il fondatore di Luxottica non si è più fermato, nemmeno per una seduta. Non è stato il solo. Con una frequenza simile si è mosso pure Francesco Gaetano Caltagirone, che di Generali è vice-presidente. Entrambi avevano iniziato a incrementare le loro quote a marzo. Poi hanno deciso di accelerare.

Soltanto negli ultimi dodici mesi Leonardo Del Vecchio ha investito in titoli Generali oltre 300 milioni di euro, arrivando la scorsa settimana al 4,5 per cento (un anno fa era al 3,1); Francesco Gaetano Caltagirone più di 285 milioni, superando il 4,9 per cento (dal 3,5 di inizio 2018). Nessuno dei due si fermerà a questi livelli: Del Vecchio aveva detto tempo fa di voler arrivare al 5 per cento ma anche questo tetto, oggi, non sembra più invalicabile; Caltagirone ufficialmente non si è mai posto limiti.

Così come nella loro lunga vita professionale hanno seguito percorsi diversi, i due anche in Generali non hanno sempre dato l' impressione di muoversi in maniera sincrona. Oggi, però, stando alle spiegazioni che condividono con i loro collaboratori, gli acquisti in atto rispondono in entrambi casi a una logica d' investimento simile, perché il gigante triestino offre ampi margini di sviluppo e un rendimento elevato. Il piano industriale 2019-2021 preparato dall' amministratore delegato Philippe Donnet e accolto con favore dai mercati prevede nel triennio la distribuzione di dividendi per 4,5-5 miliardi di euro. Se si aggiungono quelli attesi per il 2018 significa che, salendo al 5 per cento del capitale, Del Vecchio e Caltagirone da qui a 3 anni si metteranno in tasca un dividendo complessivo di 300 milioni di euro ciascuno, se non di più.

È chiaro, però, che entrambi sono imprenditori abituati a contare, ovunque scelgano di stare. La corsa che hanno intrapreso avrà dunque degli effetti, se non altro sulle dinamiche al vertice del gruppo assicurativo, il cui principale azionista è Mediobanca, con una quota del 13 per cento. Prima di affrontare questo punto, tuttavia, può essere interessante notare un altro fatto. In questi ultimi anni Del Vecchio e Caltagirone hanno modificato in maniera sostanziale la struttura dei rispettivi gruppi.

Luxottica ha sempre avuto una forte vocazione internazionale ma ora è diventata addirittura una società straniera, con sede a Parigi, in virtù della fusione con Essilor, uno dei maggiori produttori al mondo di lenti da vista. Sempre nella capitale francese, nel quartiere La Défense, ha i suoi uffici anche la multinazionale Suez, l' altra grande partecipazione su cui, oltre a Generali, sta invece concentrando i propri sforzi Caltagirone. Nato con la costruzione del canale di Suez, nel 1858, il gruppo ingegneristico ha un socio di larga maggioranza, la francese Engie con il 32 per cento, seguita dalla Caixa spagnola con il 5,9 e proprio da Caltagirone, che ha il 3,5 per cento ma coltiva l' ambizione di salire al secondo posto .

Per toccare con mano quanto sia globale il gruppo fondato da Del Vecchio occorre risalire alla holding di famiglia, la lussemburghese Delfin. Un tempo Delfin era la cassaforte delle partecipazioni di controllo in due grandi aziende come Luxottica e il gruppo immobiliare Beni Stabili. Oggi nessuna delle sue partecipazioni le dà una quota di maggioranza assoluta. C' è il 32 per cento di Essilor Luxottica, così come il 26,4 di Covivio, nata un mese fa dalla fusione di Beni Stabili in Foncière des Régions. In entrambi i gruppi, accomunati dalla sede a Parigi, Delfin resta di gran lunga il principale azionista, sotto però la soglia del 50 per cento.

A chi gli chiede se la fusione tra Luxottica e Essilor aveva lo scopo di allontanare la famiglia dalla gestione diretta dell' azienda, affiancandola a altri investitori in vista di un futuro cambio generazionale, Del Vecchio risponde che non è così, e che il gruppo neonato rappresenta la realizzazione di un progetto coltivato a lungo, e cioè di giungere a una piena integrazione fra le montature Luxottica con un produttore di lenti da vista com' è Essilor, al fine di fornire ai clienti un occhiale realizzato per intero.

Allo stesso tempo, però, con questi cambiamenti Delfin è posta al centro di una rete di partecipazioni globali. Covivio possiede tra l' altro edifici a uso ufficio per un valore di 6,5 miliardi in Francia e di 4,4 miliardi in Italia, appartamenti in Germania per 5,4 miliardi, un terzo dei quali a Berlino. Il 32 per cento in Essilor Luxottica vale ai prezzi di mercato 15,6 miliardi, poco più quanto valeva il 62,4 per cento posseduto nella "vecchia" Luxottica il 13 gennaio 2017, alla vigilia dell' annuncio della fusione. Al 31 dicembre 2018 gli investimenti di Delfin avevano un valore complessivo di 19 miliardi, a fronte di un indebitamento netto di soli 879 milioni.

La società genera profitti considerevoli: gli ultimi dati di bilancio disponibili dicono che nel 2017 l' utile netto della sola capogruppo è stato di 369 milioni di euro, in crescita rispetto ai 312 del 2016. I Del Vecchio, insomma, sono una famiglia estremamente liquida, con una potenza finanziaria che Leonardo, ora, pare aver deciso di convogliare su Generali.

Anche Caltagirone non mostra problemi di natura finanziaria. Il cuore industriale del gruppo è ormai fuori dall' Italia.

Nelle grandi opere Vianini è ancora al lavoro sulla Linea C della metropolitana di Roma e su una grande commessa per un raccordo anulare a Stoccolma, ma non sta partecipando ad altri appalti. Cementir un anno fa ha ceduto ai tedeschi per 315 milioni i cementifici italiani, concentrandosi soprattutto sul Nord Europa, dove attraverso la danese Aalborg aveva acquistato nel 2016 la Compagnie des Ciments Belges.

Restano in Italia giornali e attività immobiliari, mentre il primo fiore all' occhiello è il 3,5 per cento di Suez. Il secondo è, per l' appunto, Generali. Anche Caltagirone sembra avere abbondanti risorse. Il bilancio 2017 della capogruppo Fgc, l' ultimo disponibile, mostra una posizione finanziaria netta negativa consolidata pari a 1,8 miliardi ma, a fronte dei debiti, fonti vicine al vertice avvalorano le stime che il reticolo di società dell' ingegnere disponga di una liquidità superiore a 1,5 miliardi.

Presentarsi sullo scenario finanziario internazionale come i secondi azionisti di un gruppo del calibro di Generali può essere, dunque, una delle ragioni che ha determinato la corsa agli acquisti delle ultime settimane, che ha preso slancio dopo la presentazione del piano industriale da parte di Donnet. Come detto, però, sia Del Vecchio che Caltagirone sono persone abituate a far pesare il loro giudizio nelle società dove investono. E Generali è prossima a un appuntamento cruciale, il rinnovo del consiglio di amministrazione.

Da quando tredici anni fa Mediobanca si fece affiancare da una pattuglia di soci italiani di peso, che comprende anche la famiglia Benetton (che ha il 3 per cento) e i Boroli- Drago (scesi sotto il 2), le discussioni non sono mancate. Gli esempi sono numerosi, e vanno dai tempestosi tempi delle presidenze di Antoine Bernheim e di Cesare Geronzi - che portarono alle dimissioni di Del Vecchio dal cda, sostituito per Delfin da Romolo Bardin - a quelli, più prossimi, dei primi passi mossi al vertice da Donnet. Sono state spesso discussioni che non hanno provocato fratture, poi concluse con decisioni unanimi in consiglio.

Così non è stato, però, su una questione aperta a novembre, che riguarda la possibilità per Gabriele Galateri di Genola di restare presidente, abolendo il vincolo di età dello statuto, che esclude chi ha compiuto i 70 anni. Nonostante sembrasse esserci l' accordo di massima di molti consiglieri, per inserire il punto all' ordine del giorno Caltagirone ha chiesto ai consiglieri di firmare una lettera, con la spiegazione che non poteva essere lo stesso Galateri a farlo. Si tratta di un passaggio previsto dalle procedure ma alcuni consiglieri non erano d' accordo, e altri hanno visto una forzatura, considerando che nella prassi un approfondimento può essere avviato senza passaggi scritti che sembrino voler impegnare tutti, fin da subito, a votare a favore.

E così, il 12 dicembre, la decisione di proporre il nuovo statuto all' assemblea è passata solo a maggioranza. Un piccolo screzio, destinato a rientrare se da Mediobanca riusciranno a mettere tutti d' accordo nella compilazione della lista per il nuovo consiglio, tenendo conto delle necessità di un' istituzione com' è Generali, sia dei desideri dei soci più rampanti. E se gli acquisti in Borsa davvero non sono altro che buoni investimenti.

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