Ora in Europa l’Italia è restata isolata

Categoria: Italia

Il governo gialloverde ha operato in modo da alienarsi l’alleanza con tutti i paesi europei. I cinesi scelgono Genova perché con la Tav potranno andare facilmente in Europa

di Domenico Cacopardo14.3.2019 www.italiaoggi.it

La confusione politica che governa il Paese (fenomeno tipico dei periodi di passaggio) ha raggiunto livelli inaccettabili, precipitandoci in una crisi di credibilità mai riscontrata dal trattato di Parigi (1947) col quale si pose la parola «Fine» al secondo conflitto mondiale. Da allora la collocazione internazionale dell'Italia non era mai stata posta in discussione, benché per un periodo non-breve, Aldo Moro avesse tentato di condurci sulle impervie vie del terzomondismo, e nonostante alcuni incidenti avessero gettato un'ombra tra Stati Uniti e Italia. Segnatamente Sigonella, esaltata ancora oggi da gattini ciechi (acciecati da un antiamericanismo che accomuna vetero-sinistra e vetero-destra-), dimentichi che Abu Abbas era il terrorista capo del commando che aveva dirottato l'Achille Lauro con il raccapricciante omicidio di Leon Klinghoffer e che l'Italia ingannò platealmente l'«alleato» americano, trasferendo Abbas in un aereo dei servizi segreti jugoslavi. E dimentichi tutti di ciò che era accaduto alle Olimpiadi di Monaco del 1972 con la strage di atleti israeliani (gli autori furono poi tutti scovati e giustiziati dal Mossad).

Yasser Arafat, grande amico di Craxi, espresse la propria gratitudine per il salvataggio di Abu Abbas con un'altra esibizione della forza dell'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina): l'attacco di un commando palestinese, il 27 dicembre dello stesso anno, all'Aeroporto di Fiumicino (16 morti e 76 feriti). Per la cronaca e en-passant segnalo che il dispositivo di sicurezza aeroportuale (ridicolo perché pianificato sul presupposto di un rapporto privilegiato proprio con l'Olp) si fece tranquillamente sopraffare. L'unica reazione (sanguinosa) fu messa in atto dagli israeliani che disponevano di alcuni agenti a protezione dei banchi d'accettazione El-Al.

Dopo Sigonella, peraltro, Craxi (che aveva un statura internazionale di rilievo e si era conquistato l'apprezzamento americano, spostando l'asse politico italiano mediante il suo non scontato consenso all'installazione dei missili Cruise a Comis, che contribuì alla sconfitta dell'Urss nella guerra fredda in corso da decenni) ricucì rapidamente i rapporti con Reagan e da allora non ci sono state ombre nelle relazioni Italia-Usa. Anzi, l'Italia, per decenni, ha avuto un ruolo privilegiato per gli americani: quella del governo più amico nell'Unione Europea. Un ruolo fertilizzato da tanti risultati, primo fra tutti la cooperazione tra l'industria aerospaziale d'Oltre-Atlantico e italiana, a discapito dell'Airbus e dell'asse Parigi-Berlino.

Ma questa è storia remota che ho voluto richiamare per definire il costante canone cui si ispirata la nostra politica estera, collocandoci, sino a un certo punto, al centro della politica europea ed atlantica. Nulla di esclusivo, ovviamente, ma una solida presenza. Benché come sappiamo non tutto sia filato liscio sia in Europa che nella Nato. La partecipazione italiana alle due guerre del Golfo (soprattutto alla prima), oltre che alle operazioni nei Balcani, in Somalia e ovunque risultasse necessario o utile (vedi il caso piuttosto eccentrico di Timor Est a12.568 km di distanza, con conseguenti costi).

Ora, con il governo giallo-verde il quadro, al di là delle dichiarazioni di comodo a uso del rispettivo e non-conoscente elettorato, è saltato. Qui il discorso va ben al di là delle ragioni e dei torti dell'Europa, della Francia o di chiunque altro partner continentale. La questione è che, nell'Ue, l'Italia è rimasta isolata. Basti vedere quali posizioni siano emerse ed emergano sul principale cahier de doléances, l'immigrazione: nessuno, nemmeno i paesi governati da partiti sovranisti, ha appoggiato le richieste dell'Italia. Certo il sovranismo è sovranismo e basta: e due sovranismi non faranno mai un sovranismo. Saranno sempre sovranismi in competizione o lotta tra di loro.

Ma il capolavoro di non avere, nell'Ue, un paese che è uno che sostenga le nostre proposte è proprio paradossale ed è del tutto imputabile al governo giallo-verde. Ora viene in rilievo quest'intesa in via di firma con la Cina. Prima nazione, l'Italia, ad aprire alla «Via della seta», il progetto cinese di una infrastruttura intercontinentale che modificherà gli assetti economici del secolo. Se passerà, ovviamente.

Il giovane Di Maio (che, dopo essere andato in Francia a incontrare il capo della frazione eversiva dei «gilet gialli», dichiara -come il noto autista ubriaco che guida a colpi di sterzo e di sbandate- che il suo riferimento oltralpe è il presidente Macron) si affanna ad assicurare che non si tratta di un «accordo politico». Non sa, il giovane Di Maio che ogni atto di governo è un atto politico e che un accordo che apre i porti di Genova e di Trieste alle imprese cinesi ha una grande sostanza politica. E non sa, il giovane Di Maio, che questo accordo comporta azioni italiane che contraddicono le posizioni politiche del partito di cui è uno dei due capi: segnatamente la nuova ferrovia Genova-Nord e la linea ferroviaria Lione-Torino, che renderebbero utile sbarcare le merci a Genova, rendendolo l'hub marittimo più importante d'Europa a scapito di Rotterdam. Già: noi serviremo alla Cina solo se saremo il ponte per l'economia continentale.

E inoltre –ma nessuno lo dice, meno che mai il giovane Di Maio- l'intesa italo-cinese funzionerà solo se altre nazioni importanti d'Europa, cioè Francia e Germania, aderiranno. Altrimenti riguarderà soltanto il mercato italiano che, nella dimensione globale, vale come il due di coppe con la briscola a bastoni. Il confronto Lega-5Stelle ha anche questo tema su cui svilupparsi. C'è tuttavia da segnalare che, per Salvini -e visto il recupero di iniziativa politica e comunicazionale di Di Maio-, la dimensione dello slot temporale per lo show-down governativo s'è considerevolmente ridotto.

Non so quali siano i tempi giusti, ma ricordo che la tempestività è la principale dote di un leader politico.

di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it

©Riproduzione riservata