La guerra in Libia fu una rappresaglia contro l’Eni”

Categoria: Italia

Nei prossimi giorni scatta l’ottavo anniversario dell’attacco in Libia contro Muammar Gheddafi

MAR 14, 2019 MAURO INDELICATO www. occhidellaguerra.it

Nei prossimi giorni scatta l’ottavo anniversario dell’attacco in Libia contro Muammar Gheddafi. Un attacco, spinto soprattutto dalla Gran Bretagna di David Cameron e dalla Francia dell’allora presidente Nicolas Sarkozy, i cui effetti deleteri per il popolo libico e per il Mediterraneo sono tristemente assodati e sotto gli occhi di tutti.

A distanza di quasi un decennio è però possibile tracciare un profilo storico di quell’evento, destinato ad incidere significativamente anche sull’Italia e sulla posizione internazionale del nostro paese. Fabio Mini, generale di corpo d’armata ed ex comandante della forza internazionale di pace a guida Nato in Kosovo, prova a tracciare il suo di profilo: “L’attacco è un complotto contro Gheddafi a danno dell’Italia”.

“Quel contratto con l’Eni siglato poco tempo prima”

Intervistato da Aldo Forbice per La Verità, il generale Mini parla di quelle che sono le ultime importanti questioni a livello internazionale. Secondo l’ex comandante della Kfor, il rischio è quello di “una quarta guerra mondiale”, considerando la terza già combattuta: “Conflitti, dalla Corea fino alle guerre in Afghanistan, Iraq, Siria, passando per i Balcani – afferma Mini – il terzo conflitto mondiale si è già combattuto e dobbiamo stare attenti al quarto”. Lo spunto più interessante, come detto, riguarda il passaggio circa il giudizio storico sul conflitto in Libia.

“Gheddafi è stato vittima di un complotto di Usa, Francia e Gran Bretagna – afferma Mini – Gheddafi, il dittatore arabo che più degli altri riusciva a controllare i capi tribù di quel Paese aveva accumulato una ricchezza personale di oltre 200 milioni di dollari, che ora sia Tripoli che Bengasi vorrebbero indietro perché la considerano, giustamente, patrimonio nazionale”. Tra i motivi del complotto, il generale Mini individua anche un contratto stipulato con l’allora uomo forte di Tripoli da parte dell’Italia e dell’Eni: “La scintilla – si legge – è scoccata all’indomani dell’ accordo di Gheddafi con l’Eni, che riconobbe allo Stato libico un incremento del prezzo del gas metano nella misura del 30%”.

Da qui poi, tutte le varie conseguenze: “Francesi, inglesi e americani temettero una identica richiesta di aumento del prezzo – afferma Mini – A quel punto si misero in moto i servizi segreti e i presidenti della Francia e del Regno Unito fecero di tutto per ottenere l’ appoggio della Nato e degli Usa, mentre l’ Italia nicchiava”.

Otto anni di guerra e pace ancora lontana

La storia, e non più l’attualità, raccontano poi cosa accade in Libia una volta iniziati i bombardamenti Nato su spinta di Francia e Regno Unito. Il Paese africano, sconvolto in quel marzo 2011 da circa un mese di proteste, assiste alla distruzione delle forze fedeli a Gheddafi ed all’avanzamento dei cosiddetti “ribelli”. Tripoli cade nell’estate di quell’anno, l’epoca del Raìs termina definitivamente il 20 ottobre sempre del 2011, quando cade anche Sirte e lo stesso Gheddafi viene trovato e barbaramente ucciso. Da allora la Libia non conosce pace: crollate le istituzioni unitarie, andati a vuoto i tentativi di creare un governo ed un esercito riconosciuto da tutto il Paese, soltanto negli ultimi mesi si cerca di assemblare delicatamente i tanti cocci del malandato quadro libico.

L’Italia, che con la fine di Gheddafi perde uno storico alleato e rischia di vedere naufragare i propri interessi sia energetici che economici, appare il Paese più spiazzato da quegli eventi di oramai otto anni fa. Tra il derby, a volte vero ma spesso solo presunto, con la Francia ed il rischio sempre latente di ritrovarsi appoggiato al carro perdente, il nostro paese in Libia si sta giocando una carta fondamentale per il prossimo futuro. In ballo c’è la presenza nostra in Africa, così come la sicurezza e la questione migratoria. Oltre al fatto che, e questo non bisogna mai dimenticarlo, occorre ridare speranza ad un popolo, quale quello libico, da quasi dieci anni senza più nemmeno un vero Stato.