Tutti i motivi che frenano Salvini sull'autonomia del Nord

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Un costo che varia dai 2 ai 6 miliardi di euro. I paletti dei ministri M5s. Ma soprattutto il bottino facile di voti che il Capitano sta facendo nel Meridione.Perché il lombardo veneto può attendere.

FRANCESCO PACIFICO 26.3.2019 www.lettera 43.it

Domenica 24 marzo a Treviso Luca Zaia è stato chiaro con Matteo Salvini: «Se non parte l'autonomia differenziata prima delle Europee, in Veneto rischiamo di perdere decine di migliaia di voti». Anche per questo nelle ultime il Capitano ha fatto sapere che «quello dell'autonomia è l'avvio di un percorso che inizierà prima delle elezioni». Per poi, però, aggiungere: «È una svolta epocale e bisogna procedere con calma».

Il leader della Lega si muove su questo fronte con i piedi di piombo. A metà marzo, sarebbe stato lo stesso Salvini in persona a porre posto il veto alla partecipazione del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, e del presidente dell'Istat Giancarlo Blangiardo, attesi nella commissione bicamerale per l'Attuazione del federalismo fiscale gli scorso 13 e 14 marzo. Entrambi, infatti, hanno preferito declinare la loro presenza ad audizioni, durante le quali i parlamentari di maggioranza e opposizioni avrebbero chiesto conto a loro dei veri numeri dell'autonomia. Domande molto imbarazzanti in questa fase, del tipo: quanto costa mantenere gettito fiscale nei territori che hanno chiesto nuove competenze? O ancora: quanto spenderà lo Stato per la perequazione verso i territori più deboli? Ma soprattutto: davvero la riforma è a costo zero come ripetono Salvini e i governatori del Nord?

PER LA RAGIONERIA DELLO STATO SERVONO TRA I 2 E I 6 MILIARDI

Numeri ufficiali non ce ne sono, ma la Ragioneria generale dello Stato al Mef avrebbe calcolato che - in base all'andamento dell'economia - il federalismo differenziato potrebbe costare tra i 2 e i 6 miliardi di euro in risorse aggiuntive e interessi sul debito pubblico per garantire pari trasferimenti a tutte le Regioni. In ogni caso troppi per un'Italia che soltanto nella prossima manovra deve trovare 23 miliardi di euro per disinnescare le nuove clausole di salvaguardia sull'Iva. Sia i Cinquestelle sia le opposizioni (il Pd e i rappresentanti di Forza Italia e Fratelli d'Italia) spingono perché queste stime escano fuori, in modo da affossare definitivamente il progetto di autonomia. Detto questo, tutta la macchina è ferma. Se in via XX settembre non tornano i conti sul versante fiscale, il ministero della Salute e quello dell'Istruzione non vogliono concedere alle Regioni un'autonomia in materia che vada oltre il carattere amministrativo, mentre il Mit e i Beni culturali sono contrari a trasferire pezzi di autostrade o monumenti ai governatori. Guarda caso quasi tutti dicasteri retti da esponenti grillini. Ufficialmente Salvini prova a forzare le resistenze degli alleati, proponendo di portare in Parlamento - dove potrebbero essere discusse con procedura costituzionale, quindi con quattro votazioni - le preintese scritte dai governatori con il ministro per l'Autonomia, Erika Stefani. Ma anche questa strada non risolve nodi che per i Cinquestelle sono imprescindibili: la composizione della commissione dei nove che deve identificare i fabbisogni standard (al momento nominati soltanto dalla Stefani e dai governatori) e la necessità di calcolare i Lep, i livelli essenziali di assistenza, che il fronte del Nord vorrebbe definire soltanto in un secondo momento.

SALVINI SI STA ABITUANDO AL GHIOTTO BOTTINO DEL SUD

I tempi - inutile dirlo - si allungano. Ma da via Bellerio qualcuno fa notare che lo stesso Capitano non ha alcun vero vantaggio ad accelerare. I risultati alle ultime Regionali (Abruzzo, Sardegna e Basilicata) dimostrano che il Carroccio guadagna al Sud più voti del previsto, anche a scapito dell'alleato grillino. Perché fermare questo trend con una riforma a direzione settentrionale? Meglio aspettare il voto delle Europee, per poi riaprire il dossier da una posizione di forza. Uno scenario che spaventa Zaia e il suo collega lombardo, Attilio Fontana, i quali avrebbero in più occasioni spiegato a Salvini che senza la riforma del federalismo differenziato potrebbero scoppiare i malumori ora sopiti nella Lega, dove la vecchia guardia e gli iscritti sopra il Po fanno ancora fatica a capire la svolta nazionale del leader.

26 marzo 2019