L'equilibrio del terrore poteva esistere fra Usa e Urss ma non fra due partiti al governo

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Siamo proprio arrivati al botto. Fra Di Maio e Salvini rien ne va plus, i giochi son fatti

di Domenico Cacopardo,20,4,2019 www.italiaoggi.it

È il fattore «G» che farà saltare il banco. Il banco di questo governo e il banco di tanti governi regionali e comunali. E non perché vengono scoperti corruzioni politiche e amministrative, ma perché dal 14 luglio 1994 (ricorrenza della presa della Bastiglia) è profondamente cambiato l'equilibrio dei rapporti tra potere giudiziario, potere legislativo e potere esecutivo.

Quel giorno Francesco Saverio Borrelli (il procuratore della Repubblica di Milano, onorato da un elogiastico servizio fotografico del Venerdì di Repubblica nel quale lo si vede a cavallo di un bel baio … senza sciabola, ovviamente), contornato dai suoi uomini, annunciò le dimissioni di tutti se il cosiddetto «decreto Biondi» -con il quale si sarebbe impedito il massivo ricorso alla carcerazione preventiva per ottenere dai soggetti colpiti confessioni «spontanee» o, per il terrore che il carcere incute, tali da soddisfare le attese degli inquirenti-, non fosse stato ritirato.

E lo fu. Come, poco prima, fu ritirato il decreto Conso (governo Amato) per il rifiuto di firmare di un presidente, Oscar Luigi Scalfaro, che, probabilmente, riteneva di aver di che temere.

Nel dibattito parlamentare successivo al ritiro del decreto Bondi il ministro per i rapporti con il parlamento, Giuliano Ferrara ribadì di «ritenere straordinariamente necessario e urgente riequilibrare i rapporti fra difesa e accusa nel processo penale italiano.» Del che si è perso traccia, anche per il passaggio dalle parti del ministero di via Arenula (Giustizia) di persone ontologicamente legate alla corporazione dei pubblici ministeri.

Da allora, la democrazia italiana è stata sotto tutela, tanto che è giunta ad abolire il finanziamento pubblico dei partiti (che ne sono il presidio costituzionale) dando il via all'opaco finanziamento privato che incide sull'indipendenza dei politici e sull'andamento corretto delle istituzioni.

Oggi, al potere un partito giustizialista (i 5Stelle), alla Giustizia un ministro (Alfonso Bonafede) dalla visione discussa e discutibile, mentre l'autorità giudiziaria assume un atteggiamento indulgente e «comprensivo» per le anticostituzionalità di alcune norme del suo «statuto-nonstatuto», il fattore «G» come giustizia potrebbe diventare il detonatore della dissoluzione della maggioranza, ponendo una pesante ipoteca alle eventuali successive elezioni.

Non entriamo nel merito delle inchieste attuali, ma delle informazioni che ne danno i media. Infatti, il «verdetto di condanna» viene esplicitato e supportato da uno stillicidio di registrazioni e di notizie che ledono il segreto istruttorio e il diritto dell'imputato alla tutela della propria immagine. Diritto di cui tanti usano fare strame. Come sempre tutto ciò che è esagerato finisce per implodere e finire.

Anche perché nel nostro caso, questa autorità giudiziaria così persecutoria ed occhiuta, non gode dell'apprezzamento dei cittadini per i suoi tempi, le sue inefficienze, i suoi errori.

Sarà difficile che le fratture verificatesi nel governo siano risanate in tempi brevi.

Che Luigi Di Maio chiuda gli occhi sul caso di Armando Siri e Matteo Salvini sui disastri di Virginia Raggi. Lo schema «equilibrio del terrore», funzionò tra Usa e Urss, ma non può funzionare tra alleati di governo alle prese con i problemi quotidiani. Ed è quindi possibile che la previsione più volte formulata su queste colonne di una improvvisa insanabilità delle divergenze si verifichi.

Ora o comunque presto, prestissimo.

di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it

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