L’isolamento in Europa di Salvini è l’inzio della sua fine

Categoria: Italia

Tradito dagli amici sovranisti che non sostengono le sue ricette economiche, il vicepremier è destinato a un rapido declino.

Mario Margiocc 23 Giugno 2019 www.lettera43.it

Il successo di Matteo Salvini in Europa e in Italia è stato creato dagli sbagli di chi non ha saputo dare agli italiani una lettura credibile e una politica sostenibile dell’immigrazione, errori nazionali ed errori europei.

E la crisi del capo della Lega sta arrivando perché l’uomo forte della politica italiana è sui temi economici più che isolato nella Ue, senza un Paese amico che lo sostenga nelle sue rivendicazioni fondamentali, e senza nessun leader al potere, o ragionevolmente in grado di giungervi presto, che come lui voglia disfarsi dell’euro e di altro.

IL CAPO DELLA LEGA RISCHIA DI RIMANERE STRITOLATO

Salvini in Europa è in una morsa strategica che rischia di stritolarlo: non può più chinare il capo davanti a Bruxelles e ingoiare una finanziaria 2020 scritta come quella 2019 a quattro mani con la Commissione e il Consiglio, e non può, da solo, tenere testa all’Unione, dire che va stravolta e che è ormai un retaggio del passato, senza visione e senza leadership. La “fatiscente” Ue , che con Londra e il difficile dossier Brexit troppo fatiscente non si è dimostrata, potrebbe sempre rispondere con un «prego, accomodatevi» e additare l’uscita. L’inusitata procedura di infrazione non sarebbe che il primo passo.

SALVINI IN EUROPA TRADITO DAGLI AMICI AUSTRIACI E UNGHERESI

In patria l’ascesa di Salvini, tutta immigrazione e sicurezza, è compiuta; anche prima di un voto politico l’attuale vicepremier è già il padrone di Roma. Ha raddoppiato in percentuale nel voto europeo del 26 maggio i suffragi ottenuti alle Politiche del marzo 2018 ed è passato da cinque a 28 eurodeputati. Tuttavia, se non dimostra qualità (per il momento nascoste), siamo già all’inizio del declino. Una grossa falla nella strategia in Europa di Salvini di affrancamento dalla Ue e dall’euro si era aperta nell’autunno scorso quando gli amici sovranisti d’Austria, zona euro, e d’Ungheria, si sono sfilati sulla questione del debito italiano.

Le regole dell’Unione Europea ci sono e vanno rispettate

Zoltan Kovacs, portavoce di Viktor Orban

Il primo a dire a Salvini in Europa che l’Italia doveva avere i conti in regola è stato a ottobre 2018 l’amico sovranista austriaco, il cancelliere Sebastian Kurz. E a novembre con un secco «le regole dell’Unione Europea ci sono e vanno rispettate» si è aggiunta la voce di Zoltan Kovacs, ministro e portavoce del premier ungherese Viktor Orban, lo stesso Orban che a Milano ad agosto 2018 aveva definito Salvini «il mio eroe, il mio compagno di destino».

IL BOOM DEI SOVRANISTI IN UE NON C’È STATO

La falla si è molto ampliata con il voto complessivo per l’europarlamento di fine maggio 2019, nonostante gli eurodeputati leghisti più che quadruplicati. Sono stati smentiti i pronostici salviniani (e di Luigi Di Maio) di raddoppio e più dei seggi sovranisti complessivi. C’erano 156 deputati sovranisti di vario tipo nelll’europarlamento del 2014 e ce ne sono 178 in quello del 2019 con i 22 in più tutti leghisti e il vero balzo ci fu 5 anni fa rispetto agli 89 del 2009. Sempre una forza notevole, ma fermi per ora alle posizioni del 2014, non fosse per l’exploit italiano. Manca quindi la massa d’urto per cercare di cambiare la Ue partendo dal parlamento. E cambiare la valutazione dei criteri di deficit e debito.

LE TEORIE ECONOMICHE DELLA LEGA MINANO LA NOSTRA CREDIBILITÀ

La spesa a debito, con la promessa che questo rilancerà l’economia, non è facile per chi già ha un debito molto alto. Da qui deriva l’istinto salviniano, al quale si cerca di dare giustificazione teorica, di uscita dall’euro; una Banca d’Italia di nuovo sovrana e costretta a sottoscrivere il debito pubblico sarebbe, dice Claudio Borghi Aquilini, «la soluzione di gran parte dei nostri problemi». Salvini è più che d’accordo. I minibot sono stati pensati per arrivare a questo. Siamo alla neuro, alla totale ignoranza di quanto un abbondante materiale storico dimostra, e cioè che sarebbe invece la svilimento della moneta e la fine di ogni credibilità economica, Argentina peronista docet.

IL VICEPREMIER CERCA IN TRUMP UNA SPONDA PERICOLOSA

Resta Donald Trump, come il viaggio di Salvini a Washington di metà giugno (ha visto il vice Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo), e il grande significato politico che il capo della Lega stesso ha voluto attribuirgli, dimostrano. Non sarebbe la prima volta che Roma parla con Washington per far intendere a Parigi, a Berlino e altrove che non possono troppo sottovalutarla. Ma quella di Donald Trump è una sponda americana troppo dichiaratamente anti Ue e anti euro. Al momento non ci sono i margini per convivere con Bruxelles, ammesso Salvini lo voglia, ed essere contemporaneamente vero amico dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Trump ha raccolto il testimone di una vecchia America a lungo più che minoritaria e per tradizione anti europea e si è schierato pubblicamente per la più dura delle Brexit possibili e per lo sfascio, se gli riesce, dell’intera Ue. A noi conviene stare più con Trump e meno con Bruxelles? Certe partite occorre saperle giocare, e soprattutto devono avere premesse realistiche.

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SALVINI VUOLE TORNARE AL NAZIONALISMO DELL’OTTOCENTO

Ma che visione ha, Salvini, dell’Europa e del futuro dell’Italia oltre a quella di un nazionalismo ottocentesco? Quando nascevano nell’immediato Dopoguerra i pensionati settantenni di oggi, l’Europa aveva un quarto della popolazione mondiale. Ancora 30 anni prima era stata il cuore della potenza politica demografica ed economica globale. Dopo due guerre civili europee disastrose e suicide, le nazioni del nostro piccolo Cap d’Asie si sono risollevate grazie molto inizialmente all’aiuto americano. E hanno cercato nella dimensione europea un punto di incontro per gli interessi nazionali armonizzabili. La Ue non è un teorico e ingenuo sogno europeo di pochi federalisti esaltati, ma un tentativo di contare ancora nel mondo. È un crogiolo di interessi nazionali in cerca di una dimensione sovranazionale. Per esserci, per contare. E il punto debole più grave, nel sistema che Salvini sta confusamente cercando di disegnare, è di dimenticare questa verità. Di essere un nazionalista dell’800, non un europeo del 2000.

L’EUROPA DIVISA È DESTINATA A NON CONTARE NULLA

Oggi l’Europa della Ue ha con 512 milioni di abitanti (il Regno Unito non è ancora uscito e vedremo se uscirà e come) molto meno di un decimo della popolazione mondiale, contro il 25% di 70 anni fa, e già prima del 2050 nessuna nazione europea, neppure la più popolosa, la Germania, arriverà all’1% della popolazione mondiale. L’Italia sarà attorno allo 0,5%. E con questa demografia dove vogliamo andare? Come pensiamo di contare nel mondo se non facendo sentire per quanto e dove possibile una voce comune europea? La voce europea non esiste perché è solo franco-tedesca? Diventiamo il capofila di quelli che vogliono un’Europa meno franco-tedesca. Ma non si procede con sfide verbali e la parola “letterine” pronunciata stortando la bocca.

L’ATTACCO DI TRUMP A DRAGHI, UN MONITO PER CHI NON VUOLE L’UE

Senza sminuire l’importanza costante del rapporto con Washington (e con Wall Street), Trump o non Trump, un episodio di cronaca dovrebbe suggerire a Salvini qualche riflessione. Martedì 18 giugno Mario Draghi annunciava da Sintra, in Portogallo, che la Bce è pronta a un nuovo round di politica monetaria accomodante, quanto mai utile soprattutto all’Italia; l’euro scendeva, le Borse salivano, e Trump protestava accusando la Ue di concorrenza sleale. Dove sta l’interesse italiano, con Draghi o con Trump? Con chi sta Salvini, con l’Europa e la Bce o con Trump? È chiaro ormai come il sole che il presidente degli Stati Uniti vorrebbe sfasciare la Ue per non avere una controparte commerciale più grossa di lui mentre sarebbe così bello mettere nell’angolo ogni Paese europeo costretto a trattare da solo con il gigante Usa. Per questo Trump fa il possibile perché ci sia una very hard Brexit.

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L’ITALIA A TRAZIONE LEGHISTA RESTA SOLA

E Salvini in questa partita come pensa di difendere gli interessi italiani? Cancellando 70 anni di politiche europee? Dicendo, come scrive il suo alter ego Giancarlo Giorgetti, che con Brexit, Trump e il voto italiano del 4 marzo 2018 è partito «un processo unico segnato dal cambiamento di tutta l’azione politica»? Certo, si tratta di segnali chiari, ma cambiamento in che senso, e di quale azione politica? Il futuro è con Washington, scrive Giorgetti, peraltro aspirante commissario Ue con un portafoglio di rango. «E l’Europa non offre alternative». Salvini farebbe meglio a dire agli italiani con un discorso chiaro e organico, non via Twitter, dove stanno gli interessi del Paese. Perché l’euro ce l’hanno in tasca tutti, tanto o poco, e tutti vorranno sapere come va a finire. In minibot? Intanto Salvini è solo, e il massimo che può avere da Trump è un «armatevi e partite».