Eravamo nel pool dei tre primi paesi della Ue e siamo finiti in mezzo agli ultimi della classe

Categoria: Italia

Politica estera senza obiettivi. Anche la vicenda Lega-Mosca paga questa latitanza

di Domenico Cacopardo, 13.7.2019 www.itliaoggi.it

La questione è delicata, ma non possiamo non onorare il mestiere che ci siamo scelti, rifugiandoci in un silenzio opportunista o, peggio, corrivo con i potenti di ieri e di oggi. Ci riferiamo all'«affaire» Lega-Russia che in questi giorni occupa paginate di giornale e che ieri, qualche mese fa, le pagine di un libro dedicato alle finanze della Lega stessa.

Prima che legale, visto che legale lo è diventata da quando la procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo, iniziando a raccogliere documenti e trascrizioni, la questione è politica. E, nel contesto politico, suscita gravi timori la notizia che Giancarlo Giorgetti, il migliore dei leghisti di governo sta per lasciare il cruciale compito di sottosegretatrio alla presidenza, segretario del consiglio dei ministri per accettare o subire la designazione a commissario europeo. Una sciagura per questo governo, già di per sé abbastanza sciagurato: la sua assenza non solo priva la compagine di una presenza cauta e competente, ma lo espone all'accentuazione di dissensi e difficoltà, che sarà difficile sedare benché Giuseppe Conte stia imparando a fare il pompiere.

Il caso Giorgetti dimostra come l'assunzione del potere e le responsabilità di governo siano state, sin dall'inizio, affrontate senza alcuna consapevolezza di ciò che si sarebbe dovuto gestire, di quali forze, risorse e capacità occorreva dotarsi, di quale importanza avesse il contesto internazionale nel quale eravamo indissolubilmente inseriti.

Perciò, questo governo si è segnalato per l'assenza di una linea coerente e chiara in politica internazionale, parlando con più e discordanti voci, e inseguendo improbabili intese qua e là per il mondo. Senza alcuna realistica nozione dei nostri asset strategici e delle nostre debolezze. Nessuno degli uomini di governo, nemmeno il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, paracadutato alla Farnesina dalla segreteria di Mario Monti all'Unione e poi da un grigio esercizio del ministero per gli affari europei, hanno mostrato di possedere l'idea di quale fosse la missione (realizzabile) dell'Italia sul piano delle relazioni tra gli stati, con l'Ue e con la Nato.

Dal tentativo di una entente con la Cina, a quello con la Russia, ai rapporti particolari di Conte con gli emirati, con il Vietnam, tutti evocati in incontri privi di una linea definita e definibile.

In sostanza, nessuno ha riflettuto sullo scontro impari che era stato ingaggiato dall'Italia contro le altre nazioni dell'Ue, in particolare con la Francia. E non perché la Francia non meriti critiche anche dure, ma perché non serviva. Serviva sopra ogni cosa non uscire - come siamo usciti - dalla troika di comando europea, retrocedendo in serie B, la serie nella quale militano gli amici di Visegrad. A scuola, un giovane che voglia farsi strada cercherà di fare comunella con i migliori della classe non i peggiori.

E, oggi, la Francia, nel tormentato Nord-Africa, con l'alleanza con l'Egitto ha conquistato un ruolo strategico che noi ci siamo lasciati sfuggire, dopo che Marco Minniti aveva tessuto un'efficace tela di relazioni protettive dell'Italia.

E, tornando, agli Esteri, i giri di valzer soprattutto con Russia e Cina, potevano passare inosservati a Washington, a Bruxelles, a Berlino?

Solo l'impreparazione, la sovrastima di se stessi, l'ingenuità possono giustificare il modo goffo e rischioso con il quale si sono intessute le relazioni tra stati e tra partiti.

Nel mondo esistono servizi segreti che sono strumenti operativi e primari delle guerre non dichiarate che vi si combattono. Ritenere di poter mantenere riservati i propri movimenti prima che una follia è una sciocchezza.

La mia sensazione è che la registrazione del colloquio moscovita del leghista Savoini, appartenga alla categoria dei warning, degli avvisi cioè a naviganti e amici perché non commettano ulteriori errori o sciocchezze. Ed è possibile che ci sia dell'altro e di più e che altro possa essere raccolto oggi, domani e dopodomani, vista l'impudente iattanza con la quale vengono trattati anche gli affari più delicati.

Come cittadini dobbiamo aspettare gli sviluppi, se ci saranno, dell'attività giudiziaria. E dobbiamo respingere la tentazione, piuttosto diffusa nella rete, di evocare altri casi, altri possibili reati. Mi riferisco al ricorrente ritornello «E allora, i comunisti?» Una domanda lecita e anche giusta nel contesto della polemica politica e propagandistica. Una domanda inutile se ragioniamo sul tema. Il Pci ha ricevuto finanziamenti dall'Urss sino al 1981, anche in regime Berlinguer (nonostante le dimenticanze di Veltroni). Poi, la politica dell'Eurocomunismo lanciata da Botteghe Oscure ha determinato la rottura del cordone ombelicale che legava il Pci al Pcus. La Democrazia Cristiana e i partiti democratici ricevevano il sostegno degli Stati Uniti (il Psi e il Psdi erano sostenuti finanziariamente dai sindacati americani, tramite Vanni Montana).

Il contesto successivo, la fine della guerra fredda hanno fatto rientrare il finanziamento estero nell'ambito dei reati più odiosi. In Italia e altrove.

Forse la questione sollevata dalla registrazione e da altre fonti informative, non è nemmeno il finanziamento internazionale, ma una transazione energetica con tangenti.

Comunque sia, ormai dovremmo aver tutti capito che se qualcuno viene colto sul fatto, magari della sottrazione di danari pubblici, non può appellarsi al passato («E allora, i comunisti?») né al presente («E allora Giovanni, Giuseppe, ecc.?»). Di fronte alla legge e agli italiani ognuno risponde e deve rispondere per se stesso.

Del resto, Bettino Craxi il 3 luglio 1992 formulò una dichiarazione esauriente e realistica che vogliamo ricordare: «...ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su appartati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno fatto ricorso e ricorrono all'uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale.

Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.»

Craxi fu condannato e i testimoni del suo discorso con la coscienza sporca non furono nemmeno sfiorati dalle indagini.

Ciò vuol dire che di fronte alla giustizia italiana e degli uomini ognuno deve difendere se stesso e che è molto meglio farlo, mettendo i piedi nel piatto, piuttosto che puntare su manovre diversive (vedi il tentativo di abrogare il reato di corruzione internazionale) che possono avere il sapore di indirette ammissioni.

Benché si muova la procura milanese, il pallino rimane nelle mani di Matteo Salvini. Lo saprà giocare?

Domenico Cacopardo www.cacopardo.it

© Riproduzione riservata