La concretezza del ministro Bongiorno (ma manca il salto di qualità)

Categoria: Italia

La legge 56/2019 si limita ad intervenire su alcuni sintomi e non aggredisce le cause di fondo del malessere amministrativo. È ora di fare un salto di qualità.

Massimo Balducci 14.7.2019 www.formiche.net

La concretezza del ministro Bongiorno (ma manca il salto di qualità)

Il 7 luglio è entrata in vigore la legge concretezza, una legge di riforma della Pubblica amministrazione. Ecco pregi e limiti visti da Massimo Balducci, docente alla Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze

Il 7 luglio il ministro Bongiorno ha trionfalmente twittato che lo stesso giorno entrava in vigore la legge concretezza (legge 56/2019), con “misure per prevenire l’assenteismo, concorsi sprint, supporto alle Pa in difficoltà, assunzioni mirate per favorire la digitalizzazione, semplificazione”. Lo stesso giorno, in una sessione di laurea magistrale alla Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze emergeva in maniera inequivocabile che i tentativi di modernizzare la nostra amministrazione, sforzandosi di introdurre un’organizzazione per processi, si scontrano con il modello amministrativo latente nella nostra amministrazione, modello che fa perno sulla gerarchia e ignora i processi precodificati.

IL MODELLO ITALIANO

Il nostro modello amministrativo si basa sulla figura dell’istruttore amministrativo chiamato a predisporre, di volta in volta, una ipotesi di risoluzione del problema (fondamentalmente concepito come risposa ad una richiesta di un privato), ipotesi che deve essere di volta in volta vagliata e approvata, spesso con modifiche, dal dirigente. La firma del dirigente che è tassativamente richiesta (art. 17 del Dlgs 165 del 2001) fa dei dirigenti stessi altrettanti colli di bottiglia, deresponsabilizza i funzionari, che non muovono paglia se prima non hanno avuto l’approvazione del dirigente su cui ricade tutta la responsabilità delle misure prese, e cristallizza prassi diverse a seconda delle varie direzioni.

LA CODIFICA DEI PROBLEMI

L’organizzazione per processi (di cui si hanno varie versioni, la più nota delle quali è quella del reengineering di Hammer e la più mitizzata è quella della Toyota) si basa su modalità codificate e condivise di risposta allo stesso problema. La codifica comporta che, per tutti i problemi ripetitivi, non si debba risalire a richiedere l’autorizzazione del dirigente, in questo modo lasciando al dirigente solo i problemi che esulano dalla prassi e, sopra tutto, lasciando al dirigente il compito di coordinare e programmare il lavoro. La condivisione significa che tutti coloro che sono impegnati nella realizzazione dei vari processi devono proporre modifiche migliorative ogni volta che tali modifiche sembrano loro opportune.

UNO SGUARDO AL PASSATO

Vale qui la pena richiamare molto brevemente il cammino difficoltoso dei tentativi di migliorare il rendimento della nostra amministrazione. I primi seri tentativi sono quelli effettuati dall’Ing. Bilia, prima all’INPS e poi all’INAIL.

Negli anni ’80 i due enti erano veramente mal ridotti. Prima all’INPS e, in un secondo momento, all’INAIL l’ing. Bilia fu chiamato a salvare il salvabile. E realizzò quello che all’epoca sembrò un vero miracolo. Spinse verso il basso (sostanzialmente all’operatore impegnato allo sportello) il potere/la responsabilità della firma. Questo decentramento spinto non provocò disastri (come era stato preconizzato da molti) perché gli operatori di sportello erano chiamati ad agire entro binari rigidi di processi amministrativi ben codificati. Tutto questo fu ottenuto attraverso provvedimenti legislativi che scardinavano il modello corrente dando vita ad un nuovo modello, ispirato non da un giurista ma da un ingegnere, basato non sulla gerarchia e l’autorizzazione caso per caso, ma su processi precodificati.

La proceduralizzazione aprì la via, all’INPS e all’INAIL, ad una informatizzazione su vasta scala. L’informatica, infatti, riesce ad espletare i suoi effetti benefici solo se è chiamata a gestire processi precedentemente codificati. Altrimenti l’informatica finisce con il cristallizzare il marasma esistente.

LA LEZIONE (NON IMPARATA) DI INPS E INAIL

Purtroppo la lezione dell’INPS e dell’INAIL non fu estesa all’intera amministrazione. Quando negli anni ’90 la riforma della nostra amministrazione fu presa di petto, il cambiamento non fu ispirato da managers ma da giuristi. Che finirono, in buona sostanza, con il riscaldare la solita ministra. La legge 241/90 (la norma sulla trasparenza), all’articolo 5 comma 1 separa nettamente il responsabile di procedimento (inteso come l’istruttore della pratica) e il responsabile del provvedimento (colui che firma l’atto). All’art. 17 del Dlgs 165 del 2000 viene tassativamente imposta la firma del dirigente sul procedimento proposto dal responsabile di procedimento quando esso diviene provvedimento vincolante.

LA RIFORMA BILIA

La riforma attuata dall’ing. Bilia si completava con l’introduzione di meccanismi di gestione per obiettivi e contabilità direzionale. Tali esperienze hanno poi trovato, fortunatamente, riscontro nella legislazione generale, in maniera particolare nel Dlgs 286/99, poi del Dlgs 150/2009 e da ultimo nel Dlgs 78 del 2018. Peccato che non ci sia ispirati alle esperienze dell’INPS e dell’INAIL per la messa in opera di queste norme. Basti pensare che a tutt’oggi la maggior parte degli enti pubblici non hanno ancora provveduto alla individuazione dei propri prodotti così come previsto dall’art. 4 comma 1 lettera d del Dlgs 286/99. Se non si individuano tali prodotti, tra l’altro non è possibile procedere alla corretta gestione della performance. In maniera più generale, se non si attivano i meccanismi della gestione per obiettivi non sarà mai possibile spendere le risorse finanziarie (peraltro limitatissime) dei fondi strutturali, altro obiettivo dichiarato della legge 56/2019.

LA LEGGE BONGIORNO

La legge 56/2019 introduce strumenti per la lotta all’assenteismo che consistono nell’introduzione del badge basato sulle impronte digitali e in meccanismi sanzionatori per quei dirigenti che non perseguissero gli assenteisti. A parte il fatto che molto spesso la nostra amministrazione è talmente marasmatica al punto che non si sa quale impiegato sia riferibile a quale dirigente, ma per incrementare la produttività della Pa basta che tutti i dipendenti siano presenti sul posto di lavoro? La presenza non garantisce la produttività: ci si può girare le dita anche essendo regolarmente presenti. La produttività va monitorata creando indicatori ad hoc costruiti sulle tappe fondamentali dei processi amministrativi. Accanirsii sulla presenza proprio quando le migliori amministrazioni stanno forzando l’adozione del telelavoro (per motivi di risparmio di spazio, elettricità e riscaldamento) e ecologici (si riduce lo spostamento degli impiegati da casa al posto di lavoro e viceversa) dimostra di essere lontani dalla comprensione del problema.

LA QUESTIONE CONCORSI

Un ultima promessa della legge 56/2019 è quella dei concorsi sprint. Qui ci si dimentica che nei Paesi avanzati (sopra le Alpi) i concorsi non sono banditi episodicamente dai vari Ministeri ed enti, ma sono il frutto di una pianificazione centralizzata del turnover in modo che, quando nasce il bisogno di reclutare qualcuno, il personaggio dotato delle competenze necessarie è già disponibile in un serbatoio alimentato in maniera sistematica. Questo eviterebbe i l reclutamento a singhiozzo di cui la nostra amministrazione soffre da sempre. Qui si apre la prospettiva di ampliamento delle competenze dell’ARAN, agenzia con competenze più che dimezzate limitate alla negoziazione e non alla gestione dell’intero processo dal reclutamento, all’assunzione, all’aggiornamento.

La legge 56/2019 si limita ad intervenire su alcuni sintomi e non aggredisce le cause di fondo del malessere amministrativo. È ora di fare un salto di qualità.