Il primato che la politica non sa gestire

Categoria: Italia

In un Paese in cui le leggi elettorali sembrano fatte apposta per garantire l’ingovernabilità, i politici si sono ridotti a meri tattici: non hanno più respiro, se non quello corto che serve ad assicurare sopravvivenza e rendita di posizione.

Paolo Madron 21 Agosto 2019 lettera43.it

Siamo nelle mani del presidente della Repubblica, e ciò probabilmente comporterà alla fine la formazione di un governo d’emergenza pilotato da Sergio Mattarella per gestire in autunno una manovra economica che si presenta tra le più dure.

Come nel gioco dell’oca, si rischia di tornare alla casella di partenza che prevede, piaccia o meno, una perdita di sovranità rappresentativa e l’affidamento a soluzioni emergenziali che vedono il Quirinale esercitare suo malgrado prerogative che la Costituzione non gli assegna. Si torna, insomma, a quello che successe con Giorgio Napolitano all’indomani di quando lo spread oltre quota 500 mandò a casa Silvio Berlusconi.

ALEGGIA LA FIGURA DI UN NUOVO MARIO MONTI NELL’ARIA

C’è un nuovo Mario Monti nell’aria, si chiami Cottarelli, Giovannini o Cantone. Oppure, come qualcuno tanto vorrebbe e qualcun altro altrettanto teme, Mario Draghi. Ma tutto ciò accade perché il ritorno al primato della politica, invocato dopo l’esperienza del professore bocconiano e, pur con connotati un po’ diversi, dopo quella di Enrico Letta, sul cui governo si allungava l’ala quirinalizia, si è rivelato una velleitaria ambizione. Nel senso che la politica quel primato vorrebbe ma non è in grado di esercitarlo.

Ci sono state delle elezioni che hanno reso il Paese governabile per grazia di un bizzarro contratto quasi subito disatteso

Nel frattempo ci sono state delle elezioni che hanno reso il Paese governabile (parola grossa, visto quanto è durato il mandato gialloverde) per grazia di un bizzarro contratto quasi subito disatteso e l’anomala intesa tra due forze che prima del voto forse avrebbero avuto difficoltà a prendere un caffè insieme. Infatti si è visto come è andata a finire.

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LA POLITICA SI È RIDOTTA A MERA TATTICA

Perché la politica non sia stata in grado di esercitare quel primato su cui continuiamo malgrado gli eventi a credere è presto detto. Perché si è interamente trasformata in tattica: vive alla giornata, coglie l’attimo, si insinua nella debolezza dell’avversario illudendosi così di mascherare la propria. Non ha più respiro, se non quello corto che serve ad assicurare la sopravvivenza e una sempre più risicata rendita di posizione. Ascolta la piazza, ne coglie ogni malmostoso riflusso nascondendosi dietro il paravento del limaccioso senso comune.

Si fa furba, come quando Matteo Renzi vede passargli davanti una inaspettata occasione di riscatto e lestamente vi si butta, non importa se ciò comporta un totale ribaltamento di quelle che sino ad allora erano state le sue convinzioni. O lo stesso Luigi Di Maio, che di fatto si mette sotto l’ombrello di Beppe Grillo (e di Giuseppe Conte) sperando di continuare ad avere, se pur depotenziato, un ruolo. Ma sono tattiche, meglio tatticismi, dal fiato corto. Gli spazi di manovra si sono praticamente esauriti, e di fronte c’è l’incognito di una crisi sul cui esito politico al momento nessuno si sentirebbe di sommettere.

Si potrà anche invocare una forzosa alleanza tra M5s e Pd come extrema ratio per far vivere una legislatura in attea di tempi migliori, ma c’è davvero qualcuno che pensa possa funzionare?

A proposito di tattica. Si potrà anche invocare una forzosa alleanza tra Movimento 5 stelle e Partito democratico come extrema ratio per far vivere una legislatura in attea di tempi migliori, ma c’è davvero qualcuno che pensa possa funzionare? Davvero l’accrocco di un esecutivo che mette insieme una cangiante e magmatico groviglio di stati d’animo (questo sono i grillini) e un partito dilaniato al suo interno e che ha drammaticamente smarrito senza ancora ritrovarne traccia la sua identità, può essere la panacea?

L’ITALIA DELLE LEGGI ELETTORALI CHE GARANTISCONO L’INGOVERNABILITÀ

Mattarella non ha ancora parlato, ha chiesto consultazioni lampo, ma tuttavia la sua attitudine è già chiara: datemi un’alleanza che abbia i numeri e un nome, e datemi tutto molto in fretta. Altrimenti, giocoforza, il governo lo faccio io per poi ritornare per l’ennesima volta alle urne. Soluzione, come molti hanno sottolineato in queste ore, che solo in Italia porta con sé la nomea del male peggiore, quando altrove è il naturale sbocco democratico di quando la dialettica tra le parti si inceppa.

Niente da eccepire, se non che da noi ci si arriva sempre con leggi elettorali che sembrano fatte apposta per garantire l’ingovernabilità. E che dunque costringono alla ricerca di maggioranze politicamente implausibili per l’estrema diversità delle forze che le compongono. Ancora una volta, sono leggi fatte per garantire non i cittadini sulla stabilità dei governi, ma l’autoreferenzialità e la perpetuazione di chi li rappresenta in parlamento.

Dalla fine del governo Monti sono passati sei anni. Doveva essere l’occasione per la politica di ripensare a se stessa

Se non si agisce a monte, qualsiasi sia l’esito del voto avremmo sempre maggioranze spurie la cui eterogeneità rende impossibile ogni coabitazione. Ma soprattutto rende impossibile alla politica l’esercizio del suo primato. Ed è paradossale che nel momento in cui lo si invoca si faccia di tutto per scongiurarlo. Dalla fine del governo Monti sono passati sei anni. Doveva essere l’occasione per la politica di ripensare a se stessa e alle proprie ragioni, e a molti partiti di rigenerarsi. È stato invece il trionfo dell’anti politica, incarnata da chi invocando una velleitaria democrazia diretta ne ha svilito le rappresentanze, e di chi appellandosi alle piazze e alle dirette Facebook ha fatto strame delle istituzioni. Come se ne esca, dio solo lo sa.