Il taglio dei parlamentari è solo bieca antipolitica

Categoria: Italia

Non riforma il bicameralismo paritario che ha reso il processo legislativo lento e farraginoso; non rafforza i poteri del Presidente del Consiglio che resta un primus inter pares debole e privo di vera e propria capacità decisionale. E infine non riordina i rapporti tra Stato e Regioni.

di Martino Loiacono, 17.9.2019, italiaoggi.it

Il «taglio delle poltrone» è stato il tormentone di un'estate segnata dalla crisi di governo. Sbandierato a più riprese da Luigi Di Maio, è stato posto al centro dell'agenda mediatica dai grillini. Sia per mettere sotto pressione il Partito democratico in vista del patto giallorosso, sia per accusare Matteo Salvini, reo di aver fatto cadere il governo al fine di evitare l'approvazione di questo provvedimento. Ma davvero la riduzione del numero dei parlamentari è una riforma cruciale per il nostro Paese?

Visto che Conte ha parlato a più riprese di riformismo e addirittura di nuovo Umanesimo per descrivere il nuovo esecutivo, è importante provare a capire di che cosa si tratta.

Quella proposta da Di Maio, a ben vedere, è una banale forma di antipolitica lontana anni luce da una riforma complessiva della Costituzione. È una semplice trovata populista che fa sicuramente presa sulla pancia di una società disgustata dalla politica, ma che non garantisce nessun reale beneficio al funzionamento della macchina statale.

Intanto perché si fonda su un presupposto quanto meno discutibile. Cioè che per rendere più efficace l'amministrazione dello Stato sia necessario tagliare il numero di deputati e senatori e non puntare alla loro qualità. Quasi che la scarsa capacità dei nostri politici sia una caratteristica data una volta per tutte, e che quindi sia inevitabile ridurne il numero.

In questa logica, «tagliare le poltrone» significa eliminare un costo e spazzare via una classe dirigente ritenuta a priori corrotta e inefficiente. Non a caso Di Maio continua a utilizzare il termine «poltrone», proprio per denigrare il ruolo del Parlamento e dei parlamentari. Invece che impegnarsi affinché i partiti siano in grado di formare politici preparati e degni di amministrare la cosa pubblica, l'obiettivo del Movimento 5 Stelle resta quello di promuovere una retorica antipolitica. Utile a lenire i mal di pancia dei non pochi militanti grillini che non hanno digerito l'accordo con i dem. E a nulla di più.

Ma non è tutto, perché una proposta del genere non modifica in modo sostanziale l'ordinamento dello Stato, che rimane praticamente invariato. Non riforma il bicameralismo paritario che ha reso il processo legislativo lento e farraginoso; non rafforza i poteri del presidente del consiglio che resta un primus inter pares debole e privo di vera e propria capacità decisionale. E infine non riordina i rapporti tra Stato e Regioni. Questa misura, insomma, sfiora parzialmente la Costituzione e non la ridisegna per garantire stabilità e governabilità al Paese.

Ma, al contrario, promuove un'antipolitica spicciola, che nulla ha a che vedere con il riformismo e la modernizzazione. E men che meno con l'Umanesimo. Categoria che Conte, per serietà, dovrebbe iniziare a maneggiare con più cura.

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