DIETRO LE QUINTE/ Il piano di Conte per durare (in barba a 007 e Trump)

Categoria: Italia

Il caso 007 sembrerebbe poter travolgere Conte, insieme al patto consociativo a 4 per non votare: e invece tutti resteranno in sella

10.10.2019 - Sergio Luciano, ilsussidiario.net

Fossimo il Belgio, sarebbe fatta: un non governo, anzi un governo tetraplegico, paralizzato dalla sua quadripartizione dissidente su tutto; e dunque un Paese che, non governato, va ottimamente avanti.

Ma non siamo il Belgio. E la situazione politica reale italiana promette una situazione senza precedenti negli ultimi cinquant’anni della nostra vita pubblica.

Le forze di maggioranza che sostengono il governo Conte 2 sono quattro: M5s, Pd, Italia Viva, Leu. I punti di contatto programmatici tra queste forze sono pressoché inesistenti. Tanto che alle elezioni del 2018 si candidarono, non dimentichiamocelo, contrapposte. Poi però, dopo la “pazza estate” di Salvini e l’autocrisi di governo innescata dal Capitano e sfociata nel Conte 2, i temi di convergenza tra grillini e piddini sono misteriosamente fioriti. Appena il giusto per rendere meno ridicola l’unione tra gli ex avversari. Il condimento di Leu appariva necessario sì, ma scontato. Poi però con geniale malvagità Matteo Renzi, dissociandosi dal Pd con la sua quarantina di seguaci e creando Italia viva, si è collocato nell’ambitissimo ruolo di ago della bilancia, nella posizione di piacere sublime di colui che pur non contando nulla e nulla pesando elettoralmente, detiene un diritto d’interdizione sul governo del Paese. A quel punto Leu si è ringalluzzita ma soprattutto il premier Giuseppe Conte ha mandato messaggi pesantissimi di insofferenza verso “gli arroganti”, ovvero i due Mattei, sia quello archiviato che quello rampante. Pur sapendo però che da quest’ultimo il suo governo dipende.

E dunque? Dunque il Conte 2 non può funzionare; ma non può neanche squagliarsi, perché nessuno dei quattro fratelli-coltelli che lo sorreggono si sogna minimamente di far saltare il banco e tornare al voto. Sarebbe convenuto solo al Pd di Zingaretti, oltre che a Salvini, perché il segretario del Pd avrebbe avuto la possibilità di far affiorare nei numeri delle Camere quel recupero del voto post-grillino chiaramente manifestatosi alle Europee. Ma non è andata così.

Ora, con l’approvazione del taglio dei parlamentari, e l’inevitabile eppure inimmaginabile riforma elettorale proporzionalista, la possibilità di elezioni anticipate sembra più lontana che mai. E dunque la rosea prospettiva è quella di una lunga vigilia pre-elettorale, con un governo fibrillante e privo di decisionalità verosimile tirato com’è dai quattro angoli dello zodiaco, e dunque senza campagna elettorale, con tanto potere da esercitare sulle nomine, un’interlocuzione improbabile con l’Europa ma anche la prospettiva di poter nominare il nuovo presidente della Repubblica.

Nessun governo vero, nessuna vera crisi. O no?

Forse no. Perché ci sono i fattori esterni. Per esempio il caso Barr, il ministro della Difesa americano venuto in Italia a ficcanasare su asseriti complotti anti-Trump con la benedizione di Conte. Secondo Trump e il suo staff, i Democratici americani si sarebbero rubati le mail compromettenti da soli, le avrebbero consegnate ai russi e poi avrebbero fatto arrivare l’informazione allo staff di Trump per porre la premessa necessaria per poterli accusare di essere in combutta con i russi e rimuoverlo dalla presidenza.

Il ministro Barr sarebbe stato spedito da Trump in Italia proprio per trovare una conferme a questa tesi. E avrebbe ottenuto da Conte il gradito consenso a poter consultare i nostri servizi. Uno scandalo? Uno scandaletto. Perché Conte non avrà difficoltà a dichiarare di aver messo a disposizione della Casa Bianca null’altro che la collaborazione dovuta a qualsiasi partner Nato su questioni di allarme internazionale. Resterà la figuraccia: ma sarà poca cosa rispetto al resto che Conte sta mandando giù.

È chiaro però che questa disponibilità di Conte verso Barr, manifestatasi prima che la rottura con Salvini diventasse irreversibile, implicava una sorta di doppio gioco dell’allora Conte 1 contro il suo ancora per poco alleato di governo, invischiato nel Russiagate… E dunque un pasticcio enorme, se non fosse che non fa comodo a nessuno macchiarsene.

Il premier non può che barcamenarsi facendo il libero battitore tra i quattro cantoni del suo sgangheratissimo esecutivo. Il Paese non viene governato, ma non scalcia più scompostamente contro l’Europa, che in cambio chiude due occhi sulle sue (nostre) inadeguatezze. E insomma i contraenti del patto scellerato del Conte 2 non vissero felici e contenti, ma vissero a lungo.

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