Così l’Italia castra il suo sistema estrattivo L’Italia è un Paese che sceglie consapevolmente di essere in bolletta.

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400 milioni di euro: questo il valore dello stock di investimenti che potrebbe andare perso se il governo non correggerà la dannosa politica energetica che porterà nei prossimi anni allo stop di buona parte dei progetti di estrazione di idrocarburi in via di perfezionamento nel Paese.

Andrea Muratore 21.10. 2019 it.insideover.it da: il giornale.it

L’Italia è un Paese che sceglie consapevolmente di essere in bolletta. Le leggi e le regolamentazioni introdotte nell’ultimo anno, infatti, hanno letteralmente incagliato il sistema estrattivo e la produzione di idrocarburi nel Paese, rafforzando in questo modo la dipendenza nazionale dalle importazioni di gas naturale e petrolio, con conseguenze sui costi dei servizi per i cittadini.

La politica energetica condotta dai due governi Conte, prima in tonalità gialloverde e poi a tinte giallorosse, concorre a definire una totale assenza di progettualità strategica e una mancanza di pragmatismo che ha dell’incredibile. L’Italia, infatti, ha aumentato di 25 volte tramite il Decreto Semplificazioni (governo M5S-Lega) il costo delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi e imposto una moratoria sui nuovi permessi, senza al contempo sviluppare una coerente politica sui gasdotti, una strategia mediterranea per inserirsi nella partita energetica regionale o, in prospettiva, un serio e pragmatico piano di transizione energetica. Un ambientalismo di maniera e una critica anti-industriale antico cavallo di battaglia del Movimento cinque stelle ha influenzato in maniera decisiva tali decisioni.

Il risultato? Meno produzione, meno occupazione, meno investimenti, meno gettito fiscale con cui programmare politiche redditizie di transizione green. Senza che, ad esempio, la partita doppia della tenuta ambientale venisse intaccata positivamente, dato che nell’Adriatico (Croazia, Montenegro, Albania e, da ultima, Grecia) “succhiano” i nostri giacimenti offshore. Eni ha dovuto cancellare un piano da due miliardi di euro per estrazioni attorno a Ravenna, ma non è la sola impresa a essere influenzata: il Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig) stilato dal ministero dello Sviluppo economico calcola in 44 il numero di concessioni o permessi estrattivi cancellati nell’ultimo anno.

Tutto questo mentre l’aumento del canone estrattivo di 25 volte inizialmente previsto per giugno (a seconda dei tipi di permesso da 59-88 euro a 1.481-2.221 euro al giorno per chilometro quadrato) non è ancora entrato in vigore. Tra permessi scaduti e che le aziende hanno deciso di non rinnovare e concessioni programmate ma “congelate” la falcidia colpisce ovunque. Da Melzo, in provincia di Milano, a località come Colfelice (Frosinone) , Monte Negro (Campobasso), Montemarciano (Ancona), Pescopennattaro (Isernia), in cui le concessioni non sono state rinnovate. Con il conseguente rischio di un autogol per il governo, mentre nel frattempo la bolletta energetica degli italiani continua a crescere.

A ottobre è scattato un rincaro di 43 euro porterà mediamente a 1.150 euro il costo annuo sobbarcato dagli italiani per i servizi energetici. Questo è l’effetto principalmente dell’assenza di una strategia nazionale sul gas naturale, la cui rilevanza nella classifica delle coperture energetiche del fabbisogno nazionale è ora maggiore di quella del petrolio (34,4% contro 34,2%), e il cui fabbisogno nazionale è coperto al 93% con le importazioni. Non si può promuovere con forza e decisione i campioni nazionali energetici (Eni, Snam, Saipem) all’estero e poi frenare un settore, una filiera intera, di piccole e medie aziende dinamiche, innovative e a alto tasso di crescita per uno zelo ideologico incapace di produrre alternative concrete. La schizofrenia energetica dei governi italiani sta raggiungendo forme sempre più acute, producendo comportamenti autolesionisti gravosi per l’economia nazionale, mentre al contempo il Paese rischia di essere tagliato fuori dalla costituzione di un hub mediterraneo del gas a cui stanno lavorando attori come Israele, Grecia, Cipro ed Egitto. Senza visione d’insieme certe opportunità rischiano di non essere nemmeno individuate come tali.