Giovanni Tria a Pietro Senaldi: "L'Italia non era sul baratro. E il Mes si può cambiare"

Categoria: Italia

Per giustificare l' alleanza con i grillini e il fatto di aver preso il potere senza rimandare gli italiani alle urne, il Pd ha disegnato scenari tragici e ancora oggi agita fantasmi

Pietro Senaldi 3 Dicembre 2019 liberoquotidiano.it

«Non è vero che il governo precedente ha lasciato una situazione economica disastrosa. Non siamo andati a sbattere, come molti pronosticavano, e paradossalmente, fatti i conti, siamo stati uno degli esecutivi più austeri della storia della Repubblica, con una spesa pubblica perfettamente sotto controllo. Abbiamo fatto il primo aggiustamento strutturale di bilancio dopo molti anni ed eravamo riusciti a far scendere lo spread, che a luglio era ai livelli attuali. Avevamo riconquistato la fiducia dei mercati e i sottoscrittori esteri erano rientrati. Questo credo che sia ampiamente riconosciuto anche a livello internazionale».

L'ex ministro dell' Economia Giovanni Tria è mite e cordiale di natura, ma da buon professore ci tiene alla precisione e non ama farsi mettere i piedi in testa. La narrativa del governo giallorosso può abbindolare qualche elettore tifoso, ma non lui, che c' era e di numeri se ne intende.

Per giustificare l' alleanza con i grillini e il fatto di aver preso il potere senza rimandare gli italiani alle urne, il Pd ha disegnato scenari tragici e ancora oggi agita fantasmi. I Dem si vantano di aver scongiurato l' aumento dell' Iva e di aver diminuito le tasse, parlano di pace fatta con l' Europa e di mercati sotto controllo. Tutto merito loro, s' intende. Ma il professor Tria non ci sta. Si è trovato al governo pur avendo una sensibilità politica diversa sia da quella leghista che da quella grillina, e ha provato a tenere in piedi la baracca. «Io», spiega «molte cose le avrei fatte diversamente. Però al governo è la politica che comanda sui tecnici, il cui compito principale è non far deragliare il treno».

Professore, il suo successore, il ministro Gualtieri, ha detto che si è trovato nel cassetto un piano di aumento tasse e tagli lineari della spesa pubblica: è vero?

«Non mi sembra che mi abbia accusato di nulla, forse alludeva alla famosa clausola di salvaguardia relativa all' aumento dell' IVA, che peraltro veniva da lontano. Per ciò che riguarda i tagli di spesa, in Italia abbiamo 800 miliardi di bilancio pubblico. Ritengo che sia possibile ridurre la spesa tendenziale di 8-9 miliardi senza intaccare servizi e prestazioni. Avevo un piano di contenimento degli incrementi di spesa mirato, ancora però non sottoposto al vaglio collettivo del governo, con analisi delle singole voci, che avrebbe eliminato dove possibile gli sprechi, non i servizi o la solidarietà».

Ma avrebbe alazato le tasse?

«Io sono convinto che le tasse si devano e si possano abbassare, a patto di tenere sotto controllo la spesa. ll nostro governo aveva progressivamente imboccato entrambe le strade. La mia speranza era quella di proseguire su quella strada. Stavo poi lavorando a una vera riforma fiscale, che aboliva gli scaglioni attuali e fissava per ogni livello di reddito una aliquota specifica in modo da assicurare una reale e capillare progressività del prelievo».

Il Pd e Italia Viva sostengono che volevate aumentare l' Iva: nega anche questo?

«Avevo il mandato dal Parlamento di non alzare l' Iva. La previsione, dopo l' aggiustamento di luglio, di deficit tendenziale per il 2020 all' 1,5-1,6% dava spazio per una manovra tesa a annullare la norma che avrebbe fatto scattare l' aumento dell' imposta sul valore aggiunto».

Ma lei è per l' aumento dell' Iva, o ricordo male?

«Personalmente, la mia posizione è nota: meglio aumentare le tasse sui consumi che quelle sul reddito, specie in un Paese ad alta evasione fiscale come il nostro. Quindi si tratta di una ricomposizione del gettito fiscale. A questo fine avrei tolto volentieri le aliquote IVA ridotte per alcuni consumi di lusso, o perlomeno non propri della popolazione più povera, per ridurre l' Irpef. Ma si trattava di una mia posizione che non so se sarebbe stata accolta dal governo di cui facevo parte. Diciamo che ci stavo lavorando».

Le piace la manovra?

«Non voglio giudicare, soprattutto perché non mi sembra ancora definita e il diavolo sta spesso nei dettagli. Però solidarizzo con il ministro Gualtieri, mi pare che anche a lui lascino pochi margini».

Almeno mi dica cosa pensa delle microtasse, come quelle sulle auto aziendali o sulle bibite?

«Sono, o almeno sono percepite, come tasse ideologiche. I conti strutturali dell' Italia non cambieranno certo qualsiasi decisione alla fine venga presa».

Il vostro reddito di cittadinanza però ha aumentato non di poco la spesa pubblica

«Meno del previsto. Oltretutto costa meno degli 80 euro di Renzi ed è socialmente più comprensibile. Si trattava di una misura politica su un problema esistente, anche se si poteva disegnare in altro modo. Io in ogni caso avrei puntato di più sulla riduzione delle tasse, per aiutare la ripresa».

Perché il reddito di cittadinanza ha fallito?

«Non so se abbia fallito, si deve aspettare una valutazione più documentata. Ha degli aspetti critici. Ad esempio, l' importo è alto, specie se paragonato con gli stipendi che si prendono al Sud. In certe zone, di fatto rischia di essere un disincentivo a cercare lavoro e può creare complicazioni nel mercato del lavoro. Però, in ogni caso, è dubbio che possa dare risultati nell' obiettivo di formare i beneficiari e aiutarli a trovare un' occupazione. Questo, tuttavia, si capiva anche prima di partire, perché il problema vero del mezzogiorno è che il lavoro non c' è».

Non cresciamo da vent' anni: perché?

«Per due ragioni, molto legate tra loro: la carenza di investimenti, italiani e stranieri, e il rischio legale sulle imprese determinato dalla lentezza e soprattutto dalla imprevedibilità della giustizia, amministrativa, civile e penale. Insomma, i problemi sono la giustizia e la paralisi della nostra amministrazione pubblica, fattori che scoraggiano chiunque dall' impegnare capitali nel Paese e spingono i denari all' estero».

Che colpe ha la politica?

«Non offre all' economia un quadro normativo sufficientemente stabile e favorevole per lo sviluppo. Serve la riforma della giustizia, così come va cambiata la normativa sugli appalti. Se gli investimenti sono fermi è perché le leggi non sono chiare e le procedure neppure, così nessuno si prende la responsabilità di prendere decisioni».

Questo governo afferma di voler far ripartire l' Italia con le opere pubbliche: ma i soldi ci sono?

«Quello dei soldi è l' ultimo dei problemi. Ogni anno chiediamo flessibilità all' Europa per gli investimenti e la otteniamo ma poi non accade nulla. Anche il governo gialloverde ottenne flessibilità, per circa quattro miliardi per il dissesto idrogeologico. Poi avevamo altre risorse, e io ne avrei messe anche di più, ma poi ne abbiamo spesi poco più di zero. Questo è il problema».

E perché?

«Regolamenti e normative sono troppo complessi e rendono arduo tutto. Per di più nella Pubblica Amministrazione, con il blocco delle assunzioni e il processo di esternalizzazione, si è verificato negli ultimi anni un tracollo delle capacità tecniche. Mancano progetti di qualità e gli amministratori non danno il via libera ai pochi progetti che ci sono perché si sentono attaccabili dalla magistratura. Nessuno garantisce che un progetto non sia una truffa e quindi chi deve decidere è letteralmente terrorizzato di essere incriminato per abuso d' ufficio o reati peggiori, senza organismi tecnici che garantiscano la validità tecnica e finanziaria dei progetti».

Comunque le è andata bene, ha scampato l' ennesima crisi Alitalia e il tormentone Ilva. Il ministro dello Sviluppo Patuanelli ha parlato di nuova Iri; ma davvero la nostra economia per riprendersi ha bisogno del ritorno dei carrozzoni pubblici?

«Nella situazione in cui siamo il ruolo dello Stato va rafforzato. Credo sia un problema generale, non solo italiano, che deriva dall' attuale fase della globalizzazione. È una sciocchezza però porre un' alternativa tra una nuova Iri e una soluzione di mercato, perché oggi anche le imprese pubbliche devono restare sul mercato, altrimenti bruciano solo ricchezza. Non sono più i tempi in cui l' azienda pubblica può fare da ammortizzatore sociale. Lo Stato deve gestire con le stesse logiche dei privati: se un privato non trova conveniente entrare in un' azienda, neppure lo Stato deve entrarci. Il caso Alitalia è illuminante».

Perché nessuno riesce a farla decollare?

«Mancano un piano industriale e un management all' altezza».

Ma di manager ne sono passati decine, non saranno mica tutti stati degli incompetenti?

«Il problema non è il medico ma il malato. L' Alitalia non può essere tenuta in piedi solo per mantenere i livelli occupazionali, con un grande spreco di capitali che zavorra qualsiasi piano di rilancio. Credo che sia importante che l' Italia conservi una compagnia di bandiera ma da una parte lo Stato dovrebbe impegnare risorse adeguate su un piano industriale sostenibile e se necessario offrire ammortizzatori sociali per il personale in eccesso anziché sprecare risorse per farla vivacchiare in perdita».

E del caso Ilva cosa ne pensa: gli indiani ci hanno fregato, come sostiene il governo?

«È stato fatto un errore quando si è messo in discussione lo scudo penale che era stato garantito per iniziare l' opera di risanamento ambientale».

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«Però la scusa buona per andarsene gliel' abbiamo data noi. Se poi il settore è in crisi e ci sono esuberi, questi vanno affrontati in modo razionale. Non si possono imporre a un' azienda livelli occupazionali fuori mercato. Il caso Ilva lo stiamo pagando come Paese non solo in termini economici ma anche di reputazione internazionale. Ci dimostriamo ancora una volta una terra inospitale e inaffidabile per gli investitori stranieri».

Alitalia, Ilva, giustizia, il nuovo governo passa da una crisi all' altra. Ora tocca al salva-Stati firmato da lei e Conte in Europa: può essere la buca che lo fa cadere?

«Il salva-Stati non ce lo siamo inventati io e Conte. Ce lo siamo ritrovati quando il negoziato per una sua revisione era già in atto. Una cosa sono le perplessità sul meccanismo in sé, un' altra la discussione su un suo possibile peggioramento. Credo che abbiamo eliminato i danni di molte proposte di revisione che abbiamo fatto cancellare. Se le avessimo accettate sarebbe stato un suicidio per l' Italia, e di conseguenza anche per l' Europa».

Il caso ora è politico: Conte ha avvisato i suoi vicepremier?

«Questo lo dirà lui, erano i suoi vice, non i miei. In ogni caso, nel governo se ne discuteva».

Ma è emendabile il trattato?

«Teoricamente sì, perché non è formalmente approvato, ma per cambiarlo occorre trovare alleanze e un appiglio giustificativo; per esempio si potrebbe subordinarlo all' intesa su altre riforme, come l' unione bancaria o il budget dell' eurozona. Ma sull' unione bancaria i problemi sono ancora maggiori».

di Pietro Senaldi