Caro Di Maio, sulla Via della Seta non si respira aria buona. Il commento di Pennisi

Categoria: Italia

Invece di chiedere agli italiani di collaborare con la Cina, dato che la Farnesina ha ora competenza per il commercio con l’estero, Luigi Di Maio dovrebbe chiedere a Pechino di mettersi in regola con i suoi obblighi nei confronti dell’Organizzazione mondiale del commercio

Giuseppe Pennisi formiche.net 6.12.2019

Invece di chiedere agli italiani di collaborare con la Cina, dato che la Farnesina ha ora competenza per il commercio con l’estero, Luigi Di Maio dovrebbe chiedere a Pechino di mettersi in regola con i suoi obblighi nei confronti dell’Organizzazione mondiale del commercio

Il ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi Di Maio invita, dalla colonne del Corriere della Sera del 6 Dicembre, a rafforzare la collaborazione con la Cina. Forse farebbe bene a documentarsi. Si è parlato nei giorni scorsi delle forti tensioni nello Xinijang e dei relativi papers ormai su tutta la stampa internazionale, ma che hanno ricevuto poca attenzione da quella italiana, nonché della spy story (con assassinio) che tormenta la politica, e la giustizia, australiana.

Sul prossimo numero di The Economist, in uscita in Italia domani 7 dicembre, un reportage documenterà come ci sono seri problemi in quella che sembrava essere “il paradiso della modernità” di quello che fu il Celeste Impero: la megalopoli meridionale di Guangzhou, grande città portuale un tempo conosciuta come Canton (ha dato anche il nome ad una celebra ricetta di riso fritto). Una generazione fa era il segno di un’espansione di fabbriche e officine fumose ed inquinanti, anche se un po ‘ imbarazzata dalla sua storia come una semi-colonia di potenze occidentali. Ora Guangzhou aspira ad essere un hub del commercio globale. Vanta una Torre, alta 600 metri, un teatro dell’opera di grande architettura e grande prestigio (dove lavorano registi, scenografi e cantanti anche italiani), e treni ad alta velocità che possono raggiungere Pechino, 2.300 km a nord, in sole otto ore. Eppure la crescita di Guangzhou ha avuto alti costi umani. La provincia del Guangdong, di cui è la capitale, è un focolaio di disordini, con 129 scioperi e proteste registrati quest’anno dal China Labour Bulletin (Clb), un sistema di monitoraggio dei diritti dei lavoratori con sede a Hong Kong. Un numero crescente delle dimostrazioni coinvolge i lavoratori che raggiungono l’età pensionabile e scoprono che, o perché cadono nei buchi della rete di sicurezza del welfare, o perché i datori di lavoro (imprese di Stato) hanno lesinato sui contributi pensionistici, sono alle prese con un presente e futuro di miseria.

I lavoratori, che per 30 anni hanno lasciato villaggi e piccole città dell’interno per città in piena costiera, stanno invecchiando. La loro età media è ora più di 40 anni. Quasi un quarto ha più di 50 anni. Più di un decimo di tutti gli scioperi, i sit-in e le proteste registrate dal Clb nel 2018 e nel 2019 hanno riguardato proteste su pensioni e assicurazioni sociali. L’ultima indagine nazionale sulle condizioni di vita degli anziani urbani e rurali, pubblicata nel 2018 su ordine del Comitato Centrale del Partito Comunista, descrive le sorprendenti disuguaglianze. Circa 100 milioni di cinesi in pensione coperti dal sistema pensionistico urbano di base unificato, a cui contribuiscono la maggior parte dei lavoratori urbani a tempo pieno, hanno trattamenti mensili medi di 2.600 yuan (369 dollari). Ma circa 150 milioni di pensionati hanno dovuto accontentarsi di un regime pensionistico statale aperto sia ai residenti urbani che a quello rurale. Ricevono in media 117 yuan (17 dollari) al mese, una miseria anche in una regione povera. Le proteste minacciano di diventare sempre più forti e di spingere istanze separatiste. Come al nord anche al sud si sta tornando ad un clima quale quello che precedette le lunghe guerre di circa un secolo fa oppure la dissoluzione dell’Urss.

Invece di chiedere agli italiani di collaborare con la Cina, dato che la Farnesina ha ora competenza per il commercio con l’estero, dovrebbe chiedere a Pechino di mettersi in regola con i suoi obblighi nei confronti dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc, anche conosciuta con l’acronimo inglese Wto). Legga il Cepr Discussion Paper No. DP14076b WTO’ing a Resolution to the China Subsidy Problem” di Chad P. Bwon del Peterson Institute for International Economics e di Jennifer Hillman del Georgetown University Law. Oppure per temi più vicini all’Italia, soprattutto quella centrale, il Research Paper No. RSCAS 2019/71 del Robert Schuman Centre for Advanced Studis “China – Broiler Products (Article 21.5 – United States) (DS427) – Can the Sum of the Parts Be Less Than the Whole?”.

Avrà strumenti per meglio difendere gli interessi degli italiani, suo compito primario.