DAGO-RETROSCENA - LE DIMISSIONI DI DI MAIO SONO UN VAFFA A GRILLO,

Categoria: Italia

LA FRATTURA TRA I DUE È NATA AD AGOSTO, QUANDO SALVINI HA OFFERTO PALAZZO CHIGI A LUIGINO, CHE NON VOLEVA L'ACCORDO COL PD

DAGONEWS 22.1.2020 dgospia.com -lettura 3’

CHE LO AVEVA GIÀ ''LICENZIATO'' MA GLI AVEVA CHIESTO DI ASPETTARE GLI STATI GENERALI. INVECE ORA SARÀ QUALCUN ALTRO AD ACCOLLARSI LA SICURA SCONFITTA ALLE REGIONALI - LA FRATTURA TRA I DUE È NATA AD AGOSTO, QUANDO SALVINI HA OFFERTO PALAZZO CHIGI A LUIGINO, CHE NON VOLEVA L'ACCORDO COL PD. ECCO COSA SUCCESSE - CASALEGGIO INDEBOLITO, CONTE LEADER IN PECTORE E DI "FATTO" DEI 5 STELLE E DELL'ALLEANZA COL PD. A MENO CHE IL VOTO...

L'addio al ruolo di capo politico – che su questo sito abbiamo anticipato mesi fa – è l'ennesima crepa nel già fratturato rapporto tra Di Maio e Grillo. L'Elevato gli aveva fatto capire dopo poche settimane di evidenti difficoltà, che non poteva continuare a mantenere i piedini in due scarponi, quello di guida del M5S e di Ministro degli Esteri. Chiedergli di ''accogliere'' qualcuno che potesse affiancarlo nella gestione quotidiana era come chiedergli di fare il famigerato passo indietro.

Solo che nell'ultima conversazione gli aveva chiesto di aspettare quanto meno le elezioni in Emilia-Romagna, e possibilmente gli Stati Generali del Movimento che si terranno il 13 marzo, l'occasione giusta per nominare il nuovo gruppo dirigente.

Luigino invece ha capito che era una mossa per incastrarlo, per costringerlo a ciucciarsi la sicura sconfitta alle regionali e presentarsi al congresso da capo politico dimissionario che nel discorso di apertura è costretto a fare l'analisi della sconfitta, una roba da vetero-sinistra che l'ex bibitaro non voleva certo emulare. Dimettendosi ora, non sarà lui il traghettatore degli Stati Generali, ma sarà il reggente (Vito Crimi) a dover mettere la faccia sul tracollo dei consensi per i 5 Stelle.

Di Maio potrà così presentarsi come il leader di una corrente interna, anche se tutta da ricompattare. Ma non sarà difficile radunare gli scettici dell'accordo con il Pd, che Luigino non ha mai voluto, e dell'irresistibile ascesa di Conte come leader in pectore del Movimento.

Ma quand'è che si apre la prima grande frattura tra Di Maio e Grillo? In quei caldi giorni d'agosto in cui Salvini aveva fatto cadere il governo e, con una certa disperazione, aveva offerto a Luigino il ruolo di Presidente del Consiglio.

L'alternativa era l'accordo offerto da Renzi sulle pagine del ''Corriere'' e Di Maio temeva, giustamente, che il Pd avrebbe finito per assorbire i 5 Stelle usando Conte come grimaldello. E poi, ovviamente, c'era l'ambizione sfrenata di potere che lo avrebbe portato a Palazzo Chigi a 32 anni.

In quel momento anche i suoi compagni di partito più fidati, ovvero Bonafede e Spadafora, lo mettevano in guardia dal consegnare il M5S nelle mani di Salvini in cambio della poltrona più ambita.

Beppone, al pari di Travaglio, voleva a tutti i costi l'accordo coi dem per liberarsi dell'odiato Salvini, e quando ha visto il discepolo accecato dall'ambizione, ha cambiato radicalmente approccio con lui. Lo accusa di non avere visione politica, di pensare unicamente ai suoi interessi e non a a quelli del Movimento.

Di Maio si è quindi trovato sempre più isolato, e nel neonato governo è andata come temeva: Zingaretti ha stretto un accordo solidissimo con Giuseppi, Grillo ha smesso di proteggerlo come un tempo, e il suo doppio ruolo è stato quotidianamente delegittimato da fronde e frondine.

Dalla sua parte resta Casaleggio, un altro che sguazzava nell'alleanza coi leghisti e aveva promesso al padre ''Mai col Pd''. L'Erede della Srl è però indebolito dalla guerra scatenata dai suoi stessi parlamentari contro Rousseau e i rimborsi (oggi se ne sono andati altri due parlamentari morosi), e pure da quella scatenata da tutti gli altri per i suoi evidenti conflitti d'interessi (Onorato, Huawei, Facebook…).

L'abbandono della leadership da parte di Luigino è dunque un altro colpo che non ci voleva, mitigato dall'arrivo del reggente Crimi, da sempre un suo fedelissimo. Ma riuscirà il sottosegretario a essere confermato capo politico durante gli Stati Generali?

In ogni caso, la decisione di lasciare il posto Di Maio l'aveva presa da un po', insieme ai due fedelissimi Carmine America e Augustarello Rubei, e avrebbe voluto annunciarla tre giorni fa, ma il vertice sulla Libia a Berlino ha ritardato i piani.

Ovviamente, paga anche l'opposizione del ''Fatto Quotidiano'', che insieme a Grillo ha spinto fortissimo per stringere l'accordo con il Pd e liberarsi del Capitone. È stato il giornale a sparare in apertura la notizia delle sue dimissioni, pochi giorni fa. Dimissioni che erano nell'aria, ma quel titolo era una lettera di licenziamento da parte del giornale più vicino al premier e all'Elevato. E allora Di Maio ha pensato: se loro non rispettano il protocollo, non lo farò neanche io. Anticipando tutto a quattro giorni dal voto regionale. Tiè!