Flessibilità, il gioco sporco dell’Unione europea

Categoria: Italia

I dati rappresentano un’ulteriore certificazione, dopo gli annunci della Banca d’Italia, sul fatto che la manovra economica del governo M5S-Lega non avrebbe sfasciato i conti pubblici

Andrea Muratore 3.3. 2020 ilgiornale.it –lettura 2’

Inside the news, Over the world. Tre dati presentati in maniera congiunta permettono di comprendere lo stato dell’arte dell’economia italiana e i principali freni alla crescita e allo sviluppo nel contesto attuale. L’Istat ha recentemente certificato le cifre sul 2019, presentando al contempo una crescita economica ai minimi dopo la Grande Recessione (+0,3%) e un rapporto deficit/Pil mai così basso dal 2007 (1,6%), in un contesto caratterizzato dalla più elevata incidenza della pressione fiscale dal 2015 in avanti (42,4%).

Un quadro che basta da solo ad annullare tutto il furibondo dibattito apertosi sul finale del 2018 e a inizio 2019 sulla manovra economica del governo gialloverde, che riuscì a negoziare con la Commissione un deficit al 2,04% del Pil dopo aver annunciato una crescita al 2,4%.

I dati rappresentano un’ulteriore certificazione, dopo gli annunci della Banca d’Italia, sul fatto che la manovra economica del governo M5S-Lega non avrebbe sfasciato i conti pubblici e una severa condanna a posteriori dell’irresponsabile atteggiamento di esponenti della Commissione europea come Pierre Moscovici, che hanno creato turbolenze sui mercati finanziari e fiammate dello spread con dichiarazioni fuori luogo sul governo italiano. Ma anche una severa bastonata alle dichiarazioni roboanti degli esponenti del governo Conte I, che hanno annunciato battaglia sul deficit e sul superamento dell’austerità salvo poi mettere in campo misure limitate e talmente condizionate (Quota 100 e reddito di cittadinanza) da non rappresentare una svolta. Non seguendo i consigli di chi, come Paolo Savona, chiedeva nel governo una forte svolta sul lato degli investimenti produttivi.

La nota di aggiornamento al deficit presentata dal ministro dell’Economia giallorosso, Roberto Gualtieri, presentava una previsione di spesa per le prestazioni sociali pari a 362 miliardi di euro, estremamente vicina alla spesa effettiva (362,5 miliardi) indicata dall’Istat. Ma al contempo, come rivelato dall’ex viceministro dell’Economia Enrico Zanetti a La Verità, sottostimava di 11,7 miliardi di euro le entrate fiscali, “di cui 7,2 di imposte dirette e 2,9 di imposte indirette. Come sia avvenuto non me lo spiego ma ritengo che debba spiegarlo al Paese il ministro Gualtieri”.

L’Italia ha negoziato con la Commissione europea un deficit del 2,2% per il 2020 sulla base di dati fiscali per il 2019 precisi dal lato delle spese ma tutt’altro che efficienti sotto il profilo delle entrate. Presentando dunque un quadro macroeconomico più fragile e una situazione di minore spazio di manovra per l’ottenimento di quel “superdeficit” per investimenti che i falchi del rigore della Commissione, guidati da Valdis Dombrovskis, hanno negato anche all’europeissimo governo giallorosso.

In totale il conto segna un risparmio di deficit di otto miliardi legato a una sottovalutazione delle entrate fiscali di 10 che avrebbe fatto comodo all’anemica economia italiana, magari per finanziare interventi volti ad archiviare la problematica stagione delle clausole Iva o, ancora meglio, misure espansive, apertura di cantieri, ampliamento di misure come il cuneo fiscale ai lavoratori o, visti i tempi che corrono, investimenti in sanità. Di fronte a queste problematiche, risulta ridimensionato il margine di flessibilità da 3,6 miliardi di euro (0,2% del Pil) concesso dall’Ue a Gualtieri per l’emergenza coronavirus e presentato dall’esecutivo giallorosso come risolutivo. Piccolo risarcimento dell’eccessiva timidezza del governo gialloverde su misure realmente risolutive e della leggerezza dei giallorossi nello stimare le entrate fiscali. Dalla vicenda dei conti definitiv del 2019 emerge, dunque, un invito futuro per gli esecutivi italiani: governare politicamente le sessioni di bilancio senza farsi condizionare eccessivamente da stime e predizioni che, del resto, scontano la capacità di un esecutivo di trasformare in misure concrete quanto annunciato in manovra.