I Churchill dopo la Seconda guerra mondiale. Idee per il dopo

Veniamo da più di dieci anni di crisi per cui il nostro settore ha perso più del 50 per cento delle aziende e centinaia di migliaia di occupati.

Chi ha scritto al direttore 26.3.2020 ilfoglio.it

Al direttore - Siamo in guerra. L’anomalia di questa guerra è che il nemico è visibile solo al microscopio. Il dramma di questa guerra è che non si può chiedere un armistizio. L’augurio per questa guerra è che dopo Caporetto venga Vittorio Veneto. E il bollettino della vittoria sarà firmato da un Diaz che non indossa una divisa grigioverde ma un camice bianco.

Gino Roca

A proposito di guerra. C’è, in Italia, chi si paragona a Churchill. Ottimo. Churchill vinse la guerra. Ma sarebbe il caso di ricordarsi che fine fece Churchill con la fine della guerra. Pronti per il dopo?

Al direttore - In questi giorni sospesi, con un paese assediato dalla paura di un virus che ha travolto le nostre vite, non ci resta che aggrapparci al domani ed essere pronti alla ripartenza. Lo dico da costruttore, da romano e soprattutto da rappresentante di una categoria di imprenditori che vive di consegne, scadenze, progetti e visioni. Per noi, quel giorno, sarà tutto. Per dimostrare ciò che sappiamo fare meglio: costruire. Costruire case, ospedali, strade e grandi infrastrutture viarie, ma soprattutto il nostro domani.

Veniamo da più di dieci anni di crisi per cui il nostro settore ha perso più del 50 per cento delle aziende e centinaia di migliaia di occupati. Un indotto al quale la politica non ha mai voluto guardare con attenzione e che il più delle volte ci ha osteggiati con mille cavilli normativi e operativi. Ci vogliono anni per avere permessi, per avviare lavori d’interesse strategico. Le aziende edili, specie le piccole e medie imprese del nostro territorio, sono state affossate, soffocate da una burocrazia sempre più padrona e arbitra; una burocrazia che è diventata un potere a sé, incontrollabile e ingestibile, responsabile di blocchi e stalli. Colpevole, tra l’altro, di non essere mai stata in grado di saper sfruttare le tante risorse messe a disposizione, anche dall’Europa. Eppure, la nostra classe imprenditoriale non si è arresa restando comunque lo scheletro portante dell’economia del paese. Adesso che dobbiamo rimettere in piedi un’intera nazione, saremo ancora più tenaci e già da ora chiediamo alla nostra classe dirigente: non sprechiamo il tempo che verrà. Non possiamo permetterci ritardi quando l’emergenza Covid-19 sarà finita. Non li ammetteremo per il rilascio di qualunque atto amministrativo, e basta con l’esasperante giustizialismo. Pretendiamo che le ingenti risorse destinate al nostro settore, come mai prima, non rimangano chiuse nei cassetti della Pubblica amministrazione. Non possiamo pensare di ripartire sul modello della ricostruzione post sisma nella nostra regione, ancora al palo. Ci servono regole chiare, azioni rapide e soluzioni concrete che facciano atterrare sui territori e in tempi rapidissimi i cantieri che saremmo chiamati ad avviare. Vogliamo non avere paura col rischio di rimanere in balìa dell’emergenza. Oggi è indispensabile progettare il domani, trasformando la crisi in un’opportunità. Solo così potremmo far fronte all’emergenza fuori portata di questi giorni e guardare con ottimismo al futuro che attende noi e i nostri figli.

Nicolò Rebecchini, presidente Ance Roma-Acer

Al direttore - La protezione dei nostri asset strategici da speculazioni e scalate ostili è un’emergenza che va affrontata subito con l’allargamento del Golden power a tutti i settori produttivi nazionali: dalle telecomunicazioni alla manifattura, dai prodotti agroalimentari alla moda, dal design all’hi-tech alle infrastrutture. Non è più tempo di indecisioni o di atteggiamenti obliqui: bisogna alzare uno scudo per difendere le eccellenze del made in Italy e i grandi asset di stato dalle incursioni straniere: in gioco ci sono il futuro dell’economia e la stessa sovranità nazionale. Forza Italia aveva messo in guardia dai rischi derivanti dagli accordi commerciali con la Cina: l’Italia, purtroppo, è la più esposta sul fronte coronavirus. I ripetuti crolli delle borse, infatti, hanno reso più vulnerabili sia gli asset che il sistema delle pmi. Consob ha bloccato la vendita dei titoli allo scoperto, ma non può bastare: serve non solo l’ampliamento del Golden power, ma anche adottare i decreti attuativi dei poteri speciali introdotti dal governo Monti nel 2012, specialmente nel settore bancario e finanziario.

Dovrà trattarsi di un provvedimento a tempo determinato in attesa di un intervento sistemico, di un paracadute che non si trasformi in una nazionalizzazione surrettizia. Il Copasir ha un ruolo cruciale, ma anche Cassa depositi e prestiti può essere determinante entrando provvisoriamente nel capitale delle imprese più in difficoltà. C’è bisogno di una solida cabina di regia. La pandemia richiede la nomina di un’autorità delegata alla sicurezza del paese: il premier oggi non può dedicare la dovuta attenzione a dossier cruciali come Golden power, Cloud della Pubblica amministrazione e bandi per la rete 5G. Occorre una forte rete protettiva, non un uomo solo al comando.

Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia

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