Non reggere Dibba nemmeno a TeheranNessuno sa che cosa sta succedendo tra i cinquestelle, nemmeno loro

Categoria: Italia

E Di Battista è uno che per definizione non ha un piano certo. Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti», scriveva Karl Kraus.

Mario Lavia, 22.4.2020 linkiesta.it lettura 4’

Di Battista è tornato dall’Iran per scatenarsi contro Draghi, Salvini e Meloni, anche se organizza una fronda sovranista sulle stesse posizioni di Salvini e Meloni. Critica e loda allo stesso tempo Conte e Di Maio, i quali se le danno di santa ragione. In realtà alza solo la voce per ricordare a tutti che esiste

«Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti», scriveva Karl Kraus. Ora, sostituite a “cultura” la parola “politica” e avrete l’introduzione a questo articolo sul “dibattito” fra i Cinque stelle, dove appunto è bastato un flatus voci di Alessandro Di Battista per allertare il giornalismo politico: è contro Di Maio, a favore di Di Maio, il grillino dei Due Mondi? Rafforza Conte, indebolisce Conte? E via strologando, perché l’impressione è che siamo ai posizionamenti personali dentro un gioco delle parti recitato alla giornata, così che il formarsi nel Movimento di gruppi gruppetti e sottogruppi appare il solito formicaio impazzito più che il dislocarsi razionale delle opinioni.

E Di Battista è uno che per definizione non ha un piano certo. Lo dimostra il fatto che ogni tanto sparisce risucchiato in qualche angolo del mondo, poi torna, fa due interviste, si diletta al piccolo falegname o ad altri giochetti, s’inabissa di nuovo, coltiva progetti che poi lascia perdere, è come il maggiorenne che dopo l’esame di maturità vuole tutto ma non sa cosa fare: non esattamente un professionista della politica.

Ed è in fondo in questo stile da Easy Rider che sta la chiave del suo personale appeal presso i suoi (sempre meno) fans. Ieri ha pubblicato un fluviale post su Fb in cui si è scatenato contro l’Europa, il Mes, soprattutto Draghi: «Non credo che Draghi abbia intenzione di diventare presidente del Consiglio, semmai ambisce al Quirinale, ma è indubbio che le sue parole abbiano risvegliato in molti quel desiderio mai sopito di lasciarsi governare dai tecnici, svilendo, ancora una volta, la Politica».

Non solo, ma ha bersagliato Salvini e Meloni, due che mangiano nello stesso piatto sovranista mettendo fieno in cascina per quando i capi della destra avranno stufato: «Dozzinali conformisti come Salvini e Meloni si fingono populisti per racimolare consensi. Per il potere sono disposti a meschinità ed inversioni ad U. L’uno pur di rioccupare una poltrona che conta ha iniziato a lustrare le scarpe a Draghi; l’altra si erge a paladina dell’anti-europeismo dopo aver sostenuto il governo Monti e votato a favore della riforma Fornero».

Accipicchia, ecco la vera destra! Ecco un nuovo alfiere anti-Europa (il fedele Corrao aveva votato a Bruxelles contro i Recovery bond), pronto a imbracciare la clava retorica della Germania cattiva e della trojka alle porte!

La domanda a questo punto è: come fa il descamisado de’ noantri a convivere nel partito di potere, clientele e affari di Luigi Di Maio? Tanto più che, un po’ a sorpresa, la macchina di potere del Movimento sta funzionando a pieno ritmo, basti guardare a come Di Maio e Fraccaro (Crimi non è esistito) hanno giocato la partita delle nomine, prendendo poltrone su poltrone nemmeno fosse il vecchio Psdi, compresa naturalmente Lucia Calvosa, membro del Cda del Fatto Quotidiano.

A questo proposito Marco Travaglio, che non è uno stupido e che ha un problema di posizionamento editoriale (copie vendute, per intenderci), sa che bisogna tenere insieme tutto, tanto è vero che il Fatto è contemporaneamente l’organo di Giuseppe Conte ma senza dimenticare il vaffanculismo Grillo-dibattistiano della prima ora. Burattinaio di una certa classe, il direttore tiene tutti i fili, finché non si spezzeranno.

Diciamo dunque che la zattera pentastellata se vuole continuare la sua navigazione di piccolo cabotaggio necessita sia della logica di potere di Di Maio che del “messaggio rivoluzionario” di Dibba: è uno stato di necessità, prima ancora che una lucida scelta politica. Ne va della sopravvivenza di capi e capetti.

Per questo è improbabile che Di Battista strappi l’àncora della zattera che, per quanto immarcescita, comunque gli garantisce un minimo di visibilità politica, in attesa, beninteso, di poter risalire la scala del potere interno (non dimentichiamo che ha saltato un giro, dunque è candidabile).

E non basta. Sia Di Maio che Dibba (soprattutto il primo) hanno bisogno di tenere Conte alla larga dal Movimento: la sola idea che il M5s possa essere scalabile dal premier gli procura acidità di stomaco, perché in fondo è il loro partito, e poi Conte è una loro invenzione, sarebbe paradossale dargli le chiavi le casa. Ma per il momento l’importante è che la zattera resti a galla e i naufraghi non litighino, nella lunga notte della politica.