Raccontare non ricordare. La “strategia della memoria” italiana è un fallimento, sarebbe ora di ammetterlo

Categoria: Italia

Nella Giornata delle vittime del terrorismo le Sardine scambiano Aldo Moro per vittima della mafia e lo associano a Peppino Impastato. Un errore grave che nasconde una tendenza più profonda, e cioè che in Italia non siamo stati capaci di creare una narrazione comune sul nostro passato recente, che quindi ci sembra oscuro e sovrapponibile. 

Flavia Perina, 10.5.2020 linkiesta.it

Nella Giornata delle vittime del terrorismo le Sardine scambiano Aldo Moro per vittima della mafia e lo associano a Peppino Impastato. Un errore grave che nasconde una tendenza più profonda, e cioè che in Italia non siamo stati capaci di creare una narrazione comune sul nostro passato recente, che quindi ci sembra oscuro e sovrapponibile

Quasi un secolo di “strategia della memoria” per dividere il bene e il male, costruire riferimenti civili, educare alla differenza tra barbarie e civiltà, ed ecco qui: nella Giornata delle vittime del terrorismo il più engagé dei movimenti italiani, le Sardine, scambia Aldo Moro per vittima della mafia e lo associa a Peppino Impastato nel ricordo dei giorni più bui della Repubblica.

La gaffe è stata rimossa in fretta dai social e giustificata con un errore di battitura. La spiegazione è fragile, ma crocifiggerne gli autori sarebbe altrettanto sciocco. Piuttosto c’è da interrogarsi sull’efficacia dell’opera pedagogica portata avanti nel tempo dalle istituzioni, dai giornali, dalla tv, dal teatro, dalla letteratura e da ogni altro mondo che ha dato forma alla memoria italiana del dopoguerra.

Una colossale e quotidiana predica sui valori, gli eroi, la dedizione dei buoni e l’ignominia dei cattivi, a risultato zero. Totò Riina e Renato Curcio confusi nello stesso calderone. Via Fani e Cinisi impapocchiati nella stessa melassa celebrativa.

I miei figli, giovani adulti, conoscono meglio la storia dell’attentato a Kennedy o della sparizione di Jimmy Hoffa piuttosto che quella delle Br o delle stragi del ’93. Succede perché guardano film, e i film su quelle lontane vicende americane sono più belli, convincenti (e assai meno moralisti) della galleria di figurine che l’Italia ha prodotto sui suoi eroi civili.

Succede, forse, anche perché sul Vietnam o su Don Vito Corleone non li hanno obbligati a scrivere temi di circostanza, dallo svolgimento obbligato. La memoria, ad altre latitudini, non è stata soltanto racconto educativo e tabù ma anche emozione, mistero, vicenda viva e controversa come sono tutte le storie vere.

La libertà che gran parte dell’Occidente ha usato per trattare i temi del suo passato recente, oltre ogni versione ufficiale, oltre ogni altarino burocratico, ha pagato assai più del nostro zelo formativo.

Il tweet delle Sardine, invece delle solite irrisioni social, avrebbe dovuto suscitare una franca riflessione soprattutto a sinistra, la parte politica che da sempre si considera custode della Storia con la maiuscola.

Nel 2007, quando la Giornata delle vittime del terrorismo fu istituita per legge, quel mondo si lacerò sull’indicazione della data. Molti la volevano fissare al 12 dicembre, l’anniversario della Strage di Piazza Fontana, e mantennero la posizione fino in fondo: 46 deputati si astennero, un gran numero lasciò l’aula all’atto del voto.

Già questo racconta bene come dietro l’incenso sparso per ritualizzare la memoria collettiva esistano, in realtà, memorie ostinatamente separate e versioni diverse della vicenda italiana: non solo siamo stati poco capaci di costruire un racconto collettivo interessante, ma siamo ipocriti quando presentiamo i ricordi della Repubblica come indiscusso patrimonio comune. Non lo sono. Non siamo riusciti a compiere l’opera, altrove largamente svolta, di separare i fatti dall’ideologia, di trovare fili comuni oltre le vecchie bandiere.

Così, la sovrabbondanza del ricordo – siamo un Paese che ricorda moltissimo, dove gli anniversari del calendario democratico segnano l’agenda politica più dei santi nelle parrocchie – diventa polpettone retorico per buoni (o cattivi) maestri.

La cronologia degli eventi si appiattisce. Le bombe del terrorismo e le bombe di mafia, Ustica e Piazza della Loggia, Bachelet e Biagi, sono nomi che hanno un senso solo per i vecchi. Per gli altri sono come Curtatone e Montanara, Garibaldi e Bixio, eventi e nomi che si sovrappongono sulla cartina muta della storia: lontani e indistinguibili.

Sappiamo chi erano i buoni e chi i cattivi – ce lo hanno ripetuto tante volte – ma non abbiamo alcuna idea di cosa sia successo e del motivo. Probabilmente anche per questo Moro e Impastato sono finiti nello stesso tweet, dimostrandoci oltre ogni nobile finalità del rito commemorativo («Ricordiamo perché certi fatti non si ripetano mai più») la fragilità, l’obiettivo insuccesso, della “strategia della memoria” nella quale abbiamo impegnato tante energie.