L’alleanza Pd-M5s e una (vecchia) politica industriale per il declino

Categoria: Italia

Il piano dei Democratici per far “ripartire” l'Italia e la necessità di tenere assieme propaganda elettorale e interessi di bottega?

di Michele Boldrin, 1.7.2020, ilfoglio.it

La prospettiva che nei prossimi anni piovano sull’Italia qualche centinaio di miliardi di euro provenienti dalla Ue sembra aver aguzzato l’ingegno dei nostri governanti spingendoli a produrre svariati piani su come “spendere produttivamente” le ingenti somme.

O ben “a fondo perduto” – un’espressione che sottolinea la considerazione che il politico medio ha dell’investimento pubblico – o ben “a tassi di favore”, esiste la ragionevole certezza che chi siederà al governo dal 2021 al 2028 potrà accedere a risorse finanziare mai viste negli ultimi trent’anni. E siccome i piani d’investimento Ue si fanno all’inizio del settennio chi comanderà in Italia nei prossimi due anni deciderà cosa fare del jackpot. Quindi, punto numero uno: a meno di un impazzimento autolesionista diffuso, tra qui e il 2023 il Pd e il partito della Casaleggio Associati (CA) devono rimanere assieme per poter decidere a chi e come andranno queste somme. Esse offrono loro l’opportunità storica di mettere sotto il proprio controllo una fetta strategica dell’economia italiana e, al contempo, permettono la “acquisizione” di masse sostanziali di voti che, in questo momento, guardano a destra. Se Pd e CA rimangono al governo potranno sia piazzare i loro uomini a controllare quel che resta dell’economia privata italiana sia comprarsi i voti necessari per vincere le elezioni. Jackpot, appunto.

Per raggiungere l’obiettivo Pd e CA devono risolvere due problemi interni e uno esterno.

Quello esterno consiste nel convincere gli altri paesi europei che i fondi verranno spesi per le finalità a cui la Commissione li ha destinati e non per quelle invece tipiche della nostra politica economica. Son disposto a scommettere che i nostri partner europei siano, in grande maggioranza, ben disposti a farsi prendere in giro dal governo italiano una volta ancora. Perché così sia non è tema di questo articolo, quindi saltiamolo a pie pari e andiamo avanti.

I due vincoli interni sono squisitamente “politici”, ovvero: come tenere assieme propaganda elettorale e interessi di bottega? Il primo consiste nel trovare uno slogan tale che: (i) Casalino possa insegnarlo a Conte, (ii) Pd e CA possano declinarlo, senza eccessive contorsioni, per i loro elettorati di riferimento e, (iii) Renzi non pianti casino. Siccome quest’ultimo (vedasi “crisi evitata per un soffio”) digerisce tutto in cambio di qualche poltrona e niente elezioni, mentre la coppia Casalino&Conte ha raggiunto livelli di affiatamento invidiabili da Laurel&Hardy, il problema si riduce a trovare uno slogan che vada bene sia a Pd che alla CA.

A questo ci stan pensando gli economisti dei due partiti, i quali provengono da una scuola comune: quella secondo cui la politica sa gestire il sistema economico meglio di quanto possano fare gli agenti privati, siano essi imprenditori, manager, artigiani, bottegai o anche solo sporchi capitalisti della versione venture. Quindi deve farlo perché il declino italiano non è il frutto di mezzo secolo di politiche folli ma di scelte erronee degli attori economici privati – ripetete con me: “Dobbiamo cambiare il modello di sviluppo”. Gli economisti di Pd e CA hanno individuato queste scelte erronee (per esempio, essi sanno perché la produttività totale dei fattori del settore dei servizi declini da tre decenni) e sanno come correggerle. Ricordate il Massimo D’Alema dei tempi andati che straparlava di “piani industriali” per ogni “settore strategico” come se fosse il Marchionne d’ognuno di essi? Ecco, appunto.

Gli economisti della coalizione Pd e CA amano sostenere che il declino economico italiano – la mancanza oramai quarantennale di crescita della produttività media delle nostre aziende, la stagnazione salariale, la fuga crescente di talenti d’ogni tipo all’estero, il persistente stato di sottosviluppo delle regioni meridionali e financo la condizione di dissesto in cui versa il complesso della Pa, dalla scuola alla giustizia all’amministrazione fiscale – può essere invertito “a partire dalla innovazione digitale e dalla transizione energetica”. Eh sì miei cari, così è: con i mulini a vento e la fibra ottica in Aspromonte il declino si trasformerà in prorompente crescita.

Il piano del Pd, “Ripartiamo, Italia. Per una nuova politica industriale”

Vedete, quelle nove parole virgolettate sono tratte da “Ripartiamo, Italia. Per una nuova politica industriale”, il documento a firma Pd che avrei dovuto commentare e credo di aver commentato anche se non sembra. Quelle nove parole riassumono l’intera sostanza analitica del documento. Nel resto, tolta la retorica, trovate solo una lista di prebende, donazioni, sussidi, acquisizioni pubbliche, trasferimenti, privilegi fiscali o regolamentari... per le aziende disposte a fare ciò che le burocrazie ministeriali ordineranno loro di fare. Il nuovo modello di sviluppo, quello della ripartenza. Un documento che contraddice l’intera ricerca economica e storica sulle cause del declino italiano, riducendola a slogan su fonti di energia e digitalizzazione! La quale ultima si otterrebbe sussidiando l’imprenditoria femminile, potenziando gli Its e dando ancor più risorse da sprecare a Invitalia! Di particolare comicità la sezione sul Mezzogiorno che ogni buon documento politico de sinistra deve contenere: rinvia al Piano Sud 2030. Una sequenza di affermazioni retoriche concepite in epoca pre-Covid con l’unica finalità di giustificare nuovi e ulteriori sussidi e che Sandro Brusco dissezionò allora su questo giornale (il Foglio del 3 marzo 2020).

Ma la chiave di lettura appropriata del documento del Pd non è quella storica ed economica, bensì quella politica. Esso risolve il secondo problema politico interno menzionato sopra, quello della bottega. Come ci assicuriamo che i fondi in arrivo aumentino il controllo politico sul sistema economico, creino occasioni di “lavoro” per i nostri amici e acquisiscano per noi la gratitudine di questa o quell’altra categoria economica beneficiata? Con una nuova politica industriale, ovviamente!

*Michele Boldrin, Washington University in St. Louis e Università Ca’ Foscari, Venezia