Salvini nella trappola della grotta

Categoria: Italia

Non ha saputo cambiare spartito. Non ha imparato dai suoi errori. Non fa più notizia. E a un anno dalla tranvata estiva è ancora ostaggio degli estremisti che ha coltivato in seno. La piazza di Salvini e la differenza tra spallate e lussazioni

di Claudio Cerasa, 3.7.2020 ilfoglio.it lettura 4’

Altra spiaggia, stesso mare. La manifestazione contro il governo convocata sabato prossimo a Roma dal centrodestra arriva a circa un anno di distanza dalla formidabile estate del Papeete, durante la quale, come molti ricorderanno, il leader del centrodestra, Matteo Salvini, si convinse che fosse opportuno lanciare una campagna per guadagnare i pieni poteri dettando in mutande da una spiaggia l’agenda della politica. Un anno dopo la formidabile estate in cui Salvini fece i conti con i tragici effetti della sua tracotanza, il centrodestra si presenta di fronte ai propri elettori apparentemente con lo stesso volto che aveva un anno fa, ovvero con il tridente d'attacco formato dal leader della Lega, la leader di Fratelli d’Italia e il leader di Forza Italia. Ma rispetto a un anno fa c’è una differenza importante che non riguarda il solo fatto che dodici mesi fa Salvini era il padrone d’Italia, e oggi non lo è più. Riguarda un tema cruciale, che ha a che fare con l’incapacità mostrata in questi dodici mesi dal leader della Lega di fare quello che sono riusciti a fare per esempio i suoi alleati: adattarsi al nuovo mondo e cambiare spartito. Rispetto all’estate 2019, Matteo Salvini ha smarrito parte del suo consenso (ieri la Lega valeva il 34 per cento, oggi secondo i sondaggi vale tra il 25 e il 26) ma ha smarrito anche qualcosa di più importante, che coincide con una parola spesso abusata eppure mai attuale come oggi: lo Zeitgeist, lo spirito del tempo.

Salvini è ancora la vera e forse unica rockstar della politica italiana ma a un anno dalla tragicomica estate durante la quale scoprì che ciò che sembrava essere amore e potere era invece solo un calesse appare oggi come uno degli unici leader del centrodestra a non aver imparato dai propri errori. I serbatoi più fecondi del suo consenso si sono svuotati (pensate all’immigrazione). I suoi alleati in Europa hanno dimostrato di essere i più pericolosi nemici dell’Italia (a fare a gara a fare i sovranisti, troverai sempre uno più sovranista che ti epura). L’Europa matrigna contro la quale Salvini ha costruito buona parte della sua identità si è dimostrata essere meno matrigna del previsto (pensate al fatto che oggi Salvini chieda all’Europa non di fare di meno ma di fare di più). Molte battaglie combattute negli ultimi mesi puntano a correggere errori commessi dallo stesso governo in cui si trovava Salvini (pensate alla prescrizione). E la stessa battaglia campale combattuta oggi contro il Mes è una battaglia che il leader della Lega sta combattendo contro uno strumento (il Fondo salva stati) modificato anche con il contributo del governo di cui Salvini faceva parte (chiedere a Giovanni Tria).

In circa undici mesi di opposizione, Salvini non ha dimostrato di saper imparare dai propri errori. Ma in alcuni casi gli errori commessi li ha reiterati e moltiplicati. Pensate per esempio al tema dell’euro. Il leader della Lega sa perfettamente che la sua incapacità di dire parole definitive su questo fronte costituisce uno dei principali stigmi politici della Lega. Lo sa bene Salvini, che non a caso un anno fa, dopo essere stato investito dal patto per l’Europa costruito ad agosto dal Pd e dal M5s, ha tentato in una prima fase di correggere la narrazione della Lega sul tema della moneta unica (narrazione che ormai in Europa hanno abbandonato tutti i partiti cugini della Lega, a parte l’AfD). Ma nonostante questa consapevolezza (con questo giornale Salvini si è addirittura lasciato sfuggire che l’euro è irreversibile, salvo poi rimangiarselo qualche giorno dopo); nonostante la consapevolezza che la linea antieuro evocata dalla Lega nel corso dei primi mesi del governo gialloverde ha spaventato gli investitori internazionali persino più di quanto lo abbia fatto il Covid (guardare per credere quanto salì lo spread tra maggio e luglio del 2018); e nonostante la consapevolezza che un progetto di governo della Lega non può prescindere da una svolta sui temi europei (a proposito, che fine ha fatto Giancarlo Giorgetti); nonostante tutto questo a un anno dalla tranvata del post Papeete Salvini non ha trovato niente di meglio da fare che presentarsi oggi di fronte agli elettori con un responsabile economico (Alberto Bagnai) che da anni teorizza il necessario, inevitabile e auspicabile collasso dell’euro (e ringraziamo il cielo che a scegliere il commissario europeo sia stato un governo europeista e non uno anti europeista).

I suoi alleati, Meloni e persino Berlusconi, che in vista delle prossime regionali sono riusciti a nascondere Salvini e a puntare su un gran numero di candidati distanti dalla Lega, in questo anno, per ragioni diverse, sono riusciti a cambiare pelle. Salvini è rimasto invece nella sua grotta. E quando sabato chiederà al governo di dimettersi, urlando ai quattro venti che è l’ora di votare, si renderà forse conto che in un’Italia che cambia l’unico politico che non riesce a cambiare è quello che a forza di tentare spallate si ritrova sempre con maggior frequenza con molte spalle lussate.