Sul decreto Dignità il governo preferisce il "piano Catalfo" al "piano Colao"

Categoria: Italia

La proroga dei contratti a termine, prevista nel Dl Rilancio, salta. Pd e M5s, per non scontentare Di Maio, sacrificano l’occupazione sull’altare della propaganda grillina

di Luciano Capone 7.7.2020 ilfoglio.it lettura 3’

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri era sicuro di farcela, in fondo sospendere il “causalone” del decreto Dignità in una fase di crisi economica e di crollo vertiginoso dei contratti a termine è una scelta di buonsenso. Era già consentita una proroga dei contratti in scadenza durante il lockdown fino al 30 agosto, ma “è ragionevole pensare sia più sensato allungarla ulteriormente, fino alla fine di dicembre”, diceva il ministro in tv. D’altronde era anche uno dei punti su “occupazione e ripartenza delle imprese” del cosiddetto piano Colao, voluto e annunciato in pompa magna dal premier Conte: “Consentire (in deroga temporanea al decreto Dignità) il rinnovo dei contratti a tempo determinato in scadenza almeno per tutto il 2020”. Almeno. E invece niente, ha vinto di nuovo il M5s.

Nella conversione del decreto Rilancio questa proroga della sospensione del “causalone”, richiesta come condizione minima dalla Confindustria e un po’ da tutte le imprese, non c’è. Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo è riuscita a imporsi su Gualtieri, su Colao e sulle richieste del mondo produttivo, salvaguardando così il totem grillino del decreto Dignità. Nel testo è presente solo una minima concessione della Catalfo, che sembra però più una presa in giro. All’articolo 93, che indicava nel 30 agosto il termine di una proroga, in Commissione è stato aggiunto il comma 1-bis che consente di estendere il termine dei contratti di apprendistato, di somministrazione e a tempo indeterminato “di una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa, prestata in forza dei medesimi contratti, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”. In pratica resta il termine del 30 agosto, ma si può andare oltre solo nel caso in cui questi contratti siano stati sospesi a causa del lockdown e solo per la durata di questa ipotetica sospensione. E’ possibile che ci siano casi del genere, ma evidentemente sono del tutto marginali e non cambiano la sostanza della norma, che fa scattare la tagliola del “causalone” a fine agosto.

Nelle intenzioni del M5s e del suo promotore, l’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio all’epoca consigliato dall’attuale presidente dell’Inps Pasquale Tridico, il decreto Dignità – con l’obbligo di motivare il rinnovo del contratto a termine invece dell’assunzione a tempo indeterminato – avrebbe dovuto spingere e incrementare le trasformazioni verso contratti permanenti. Non sempre è andata così, perché molto spesso la norma ha prodotto una rotazione degli assunti a temine. Ma, soprattutto, una norma del genere che potrebbe non creare molti problemi in una fase espansiva, è deleteria in una profonda recessione come questa. E’ altamente improbabile, in mezzo a una crisi e sopratutto con avanti un’orizzonte di incertezza sull’evoluzione dell’economia e dell’epidemia, che un’impresa decida di fare assunzioni a tempo indeterminato trasformando contratti temporanei in scadenza. La proroga di un anno, o quantomeno fino a fine anno (“almeno per tutto il 2020”, scrive Colao nel suo piano), consentirebbe quantomeno di congelare la situazione in una fase incerta ed eccezionale.

Per spiegare qual è il contesto, basta dare un’occhiata ai dati dell’Istat sul lavoro. A maggio i dipendenti a tempo indeterminato sono scesi di 79 mila unità rispetto al mese precedente (-3 per cento); di 318 mila unità rispetto al trimestre precedente (-10,8 per cento); di 592 mila unità rispetto all’anno precedente (-18,9 per cento). Si tratta della quasi totalità della riduzione dell’occupazione. Per questi lavoratori, prevalentemente giovani e donne, se non c’è una proroga non arriva il contratto a tempo indeterminato ma la disoccupazione. Bastava una norma a costo zero. E invece il governo sta decidendo, scientificamente, di sacrificare decine e decine di migliaia di posti di lavoro sull’altare del decreto Dignità.