Il decreto Semplificazioni di Conte non è poi così semplice

Categoria: Italia

Il Cdm vara un decreto "salvo intese". Il premier accelera per convincere Bruxelles sul Recovery fund, ma i compromessi sugli appalti e sull'abuso d'ufficio sono farraginosi. La lunga strada parlamentare: i tempi saranno lunghi

di Valerio Valentini, 7.7.2020 ilfoglio.it lettura 4’

Giuseppe Conte prova a fare quel che può e quel che deve: e dunque tenta di vendersi un decreto che, di fatto, ancora non c'è. Il premier lo presenta in conferenza stampa, questo decreto Semplificazioni che è in gestazione da quasi due mesi; e lo esalterà anche di fronte ai suoi omologhi eruopei, nel tour continentale che inizia oggi (Portogallo, poi Spagna e poi su al nord, tra "frugali" olandesi, nel titanico sforzo di smentire i pregiudizi contro gli italiani litigiosi e inconcludenti). Ma anche a Palazzo Chigi sanno bene che il testo, licenziato dal Cdm alle quattro di notte con un "salvo intese", è ancora lontano dall'essere definitivo. Delle novità, obiettivamente, ci sono: le procedure con affidamento diretto fino a 150 mila euro (e non più 40 mila), la procedura negoziata senza bando fino a 5 milioni di euro e, sopra quella soglia, gare negoziate con inviti in caso di cantieri connessi all'emergenza Covid.

Ma del resto, le complicazioni sono da sempre una caratteristica dei decreti che mirano a semplificare, in Italia. Lo "sblocca-Italia", come allora si chiamava, era considerato già quasi pronto a metà maggio, quando addirittura si pensò di inserirlo all'interno del decreto Rilancio. "E' un'ipotesi che abbiamo a lungo vagliato", ci disse il sottosegretario ai Trasporti Salvatore Margiotta, del Pd, che aveva coordinato il tavolo tra le varie forze politiche di maggioranza. Si trattava, stando a quanto circolava, di un articolato snello, di poche pagine. Poi si è rimandato, sono arrivati gli Stati generali, le baruffe annesse, e alla fine il documento è lievitato fino a contenere 48 articoli. "E' come un insaccato dove ci sono anche norme estranee, entrate di contrabbando", lo ha giudicato, con toni non esattamente lusinghieri, Sabino Cassese sul Corriere. Il Cdm lo ha discusso tutta la notte, il decreto, fino a partorire un testo approvato "salvo intese": dunque ancora passibile di modifiche. "E' un salvo intese tecnico, non politico", ha precisato il viceministro all'Economia dem, Antonio Misiani: introducendo dunque una nuova categoria del diritto pubblico. Significa, insomma, che l'intesa tra i vari partiti c'è già, ma mancano le correzioni da parte delle strutture dei ministeri.

Notizia positiva solo apparentemente, a ben vedere. Perché in effetti, le burocrazie dei dicasteri possono essere difficili, da gestire: specie quando – come in questo caso – le si costringe a degli azzardi normativi per trovare, nel merito, dei compromessi che la politica non sa, o non vuole, trovare. E così, nel dubbio se inserire (come chiedeva il M5s) o stralciare (come chiedeva il Pd) un elenco di "opere prioritarie" sulle quali è possibile agire in deroga alle normative sugli appalti, Conte ha deciso che i vari cantieri da commissariare verranno scelti volta per volta, e indicati con gli ormai famigerati Dpcm, cioè decreti di diretta emanazione del premier.

Sull'abuso d'ufficio si era parlato di una "rivoluzione copernicana", restringendo la fattispecie del reato ai soli casi di dolo, onde evitare le ricorrenti fumosità sulla "colpa grave" ed eliminando per di più il facile alibi dell’inerzia che spesso spinge i pubblici ufficiali a non firmare ciò che andrebbe autorizzato. Ma il M5s sul tema è assai suscettibile, e dunque anche in questo caso la mediazione si è fermata a metà del guado, e una soluzione definitiva andrà trovata in seguito. E lo stesso, pare di capire, avverrà anche sulla ridefinizione del danno erariale. Del resto, sulle eccessive semplificazioni, normative e burocratiche, c'è già che punta i piedi. Un pezzo del Pd è assai scettico sulle deroghe e sui commissariamenti facili, Leu qualcosa più che scettico. "Il Governo – dice il capogruppo dei bersaniani alla Camera, Federico Fornaro – non deve cedere alla sirene di una deregulation che vorrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio sul terreno delle tutele del lavoro e del contrasto alla criminalità organizzata". Dopodiché ci sarà il vaglio della Ragioneria generale dello stato, tutt'altro che agevole su testi così complessi ed etoregenei. E poi, infine, quello delle Camere.

E qui c'è l'altro problema, legato ai tempi. Il ministro per i Rapporti col Parlamento, Federico D'Incà, aveva già avvertito i naviganti: "Prima del 13 di luglio, è meglio che non lo mettiamo in calendario". Il motivo è semplice: Camera e Senato sono già abbastanza intasate, in questi giorni. Troppo traffico nelle commissioni, insomma: meglio aspettare. Se non fosse che il tempo è proprio ciò che Conte non ha, e deve semmai provare a comprarlo: e dunque ha preteso una approvazione, sia pure parziale, del decreto Semplificazioni. Gli servirà nelle sue visite diplomatiche in giro per l'Europa, per far vedere che l'Italia non è impantanata come si dice. E gli servirà, anche, per rassicurare Bruxelles: "Questo provvedimento è la base del nostro Recovery fund, per chiedere i fondi all'Europa", dice il premier. Sperando che nella Commissione di Ursula Von Der Leyen non badino troppo al "salvo intese".