SI FA PRESTO A DIRE SEMPLIFICAZIONI. Perché liberalizzare funziona meglio che deregolamentare

Categoria: Italia

Per rendere più efficiente la pubblica amministrazione non serve cancellare le gare. Piuttosto bisognerebbe ridurre il perimetro del controllo pubblico. Un dibattito promosso dall'Ance

di Annalisa Chirico, 29.7.2020 ilfoglio.it lettura4’

Roma. Iper-regolamentazione, ipertrofia delle leggi, delirio normativo: chiamatelo come volete. Realizzare un’opera in Italia è una missione impossibile, e la questione diventa di primaria importanza quando il paese, primo beneficiario del programma Next Generation EU per 209 miliardi di euro, potrebbe destinare una quota rilevante delle risorse al settore delle costruzioni e delle infrastrutture. “Le mille e una norma” è il titolo del webinar, promosso dall’Ance per far conoscere i contenuti di un rapporto che accende i riflettori sui guasti della pubblica amministrazione, vizi e virtù italici, anche se, come sostiene la presidente di Italia decide Anna Finocchiaro, “la burocrazia non va demonizzata, nei ministeri esistono competenze e professionalità che andrebbero valorizzate anziché ricorrere continuamente a task force e consulenti esterni”. Nel campo delle opere pubbliche, dal ‘94 ad oggi, sono stati adottati circa 500 provvedimenti per un totale di 45.520 pagine, oltre 136 chilometri di carta, che richiedono 158 giorni per una lettura completa (“senza considerare i rimandi”, si precisa nel documento). Un corpus normativo in crescita incessante (si è passati da una media annuale di circa 7,6 provvedimenti negli anni Novanta ai quasi trenta nell’ultimo decennio, con la punta record di 39 nel 2019) e sempre più complesso e indecifrabile: se la legge Merloni del ‘94 conteneva 38 articoli per un totale di 48 pagine, il codice De Lise del 2006 e quello Appalti del 2016 sono leggi omnibus, che riguardano anche servizi e forniture, con oltre duecento articoli ciascuno. Instabilità normativa che aggiunge incertezza ai rapporti giuridici tra stato e imprese.

Limitando l’analisi ai tre principali provvedimenti adottati in epoca Covid, si scopre che i dl dedicati a “cura”, “liquidità” e “rilancio” occupano 360 pagine per un totale di 437 articoli, 1.710 commi e 1.807 rimandi. Con l’aggravante che non sempre le norme approvate producono effetti: durante il governo Conte1 sono stati adottati 153 decreti attuativi ma ne mancano all’appello ancora 206, per non parlare del Conte II, in carica, che a fronte di 43 decreti attuativi già approvati è alle prese con 370 provvedimenti in corso di approvazione… La novità è il decreto semplificazioni che, con una parola abusatissima, è intervenuto sulle gare: non si dovranno più fare per importi fino a 150mila euro, e con procedure negoziate a inviti fino a 5,35 milioni di euro. Una scelta che apre la strada a favoritismi penalizzando le imprese più efficienti?

“Rinunciare alle gare e, dunque, alla concorrenza non è una buona notizia – commenta il presidente Ance Gabriele Buia – Il contenzioso sull’aggiudicazione incide in Italia meno del 5 per cento mentre quasi il 70 percento delle cause di blocco si concentra nella fase autorizzativa antecedente alla gara”. Concorda l’ex ministro Finocchiaro: “Più che ‘decreto semplificazioni’, lo avrei chiamato ‘procedure in deroga’. Per rendere la pa più efficiente, si deve intervenire con una visione strategica. Cancellare le gare con un tratto di penna è rischioso perché significa meno trasparenza”. “Nei rapporti con la pa, le norme trattano il privato come un potenziale malandrino. Il decreto semplificazioni ha introdotto una pericolosa deregulation i cui effetti si vedranno tra qualche anno”, avverte Edoardo Bianchi, vicepresidente Ance con delega alle Opere pubbliche.

Intanto servono sedici anni per realizzare un’opera pubblica sopra i cento milioni di euro e quattro o cinque anni per le più semplici opere di manutenzione. “Non c’è nulla di più complicato della semplificazione amministrativa – spiega Carlo Deodato, presidente di sezione del Consiglio di stato – Imperversa l’ideologia della normazione totale che obbliga a legiferare su ogni aspetto della vita sociale. In questi anni gli obiettivi di semplificazione sono stati traditi per varie ragioni, di certo non ha aiutato il sistema di governance multilivello, foriero di una inevitabile stratificazione legislativa. La questione urgente, adesso, è come evitare che ciò si ripeta. A mio giudizio, si deve seguire un modello nuovo, quello della liberalizzazione delle attività economiche e quindi della riduzione del perimetro del controllo pubblico. In breve, per ogni procedimento occorrerà verificare se è condizionato dall’ossequio al diritto europeo o ai valori costituzionali. Là dove questi vincoli non sono configurabili, si dovrà procedere alla eliminazione, totale o parziale, dei controlli amministrativi ritenuti eccessivi”. Non intende invece rinunciare ai controlli, “garanzia di legittimità”, il vice Avvocato generale dello Stato Marco Corsini: “Oggigiorno la materia è ostica e l’interpretazione impossibile a causa della degenerazione del linguaggio legislativo. La soluzione non è abolire i controlli o lasciare campo libero solo alle direttive comunitarie: servono norme tecniche nazionali su lavori e contratti. E’ giunto il momento di redigere un testo unico, chiaro e limpido, con l’intento di farsi capire”.