C'è un problema Davigo al Csm

Categoria: Italia

Il prossimo ottobre l'ex pm del pool di Mani Pulite dovrebbe andare in pensione. Ma non ha alcuna intenzione di lasciare la poltrona e vorrebbe finire il mandato

di Ermes Antonucci 1.8. 2020 alle 14:ilfoglio.it lett.4’

Volano gli stracci tra Magistratura democratica, la corrente più di sinistra (e politicizzata) dei magistrati, e Piercamillo Davigo, la toga più mediatica d’Italia. A sferrare l’attacco è stato l’ex procuratore aggiunto di Roma (oggi in pensione) Nello Rossi, da sempre magistrato simbolo di Md.

“Sta per nascere al Csm un caso Davigo?”, si è chiesto Rossi in un lungo editoriale pubblicato su “Questione giustizia”, la rivista di Md (di cui è direttore). La domanda nasce da un dettaglio da tempo noto agli addetti ai lavori: il prossimo 20 ottobre, l’ex pm di Mani pulite e attuale membro del Consiglio superiore della magistratura, Piercamillo Davigo, compirà 70 anni e sarà costretto per legge ad andare in pensione. Pare, tuttavia, che Davigo non abbia alcuna intenzione di lasciare l’incarico di componente togato del Csm, ritenendo di avere il diritto di portare a termine il mandato (del resto l’eventualità era ben nota già ai tempi della sua candidatura alle elezioni a Palazzo dei Marescialli). E qui nasce il primo, grande problema.

“La legge elettorale del Consiglio Superiore ha subito, nel corso degli anni, modifiche e traversie di ogni tipo”, ma “un dato è rimasto indiscusso”, scrive Rossi nel suo editoriale: “Chi è eletto al Consiglio da tutti magistrati in servizio deve essere a sua volta un magistrato in servizio”.

La legge istitutiva del Csm (la n. 195 del 1958), del resto, stabilisce che “non sono eleggibili i magistrati che al momento della convocazione delle elezioni non esercitino funzioni giudiziarie” (art. 24, comma 2, lett.a). “Il possesso – effettivo ed attuale – dello status di magistrato nell’esercizio delle funzioni – nota Rossi – è dunque un requisito indispensabile perché sussista la capacità elettorale passiva; e ciò in coerenza con le disposizioni costituzionali che regolano la provvista dei membri togati del Consiglio Superiore”.

Insomma, nel caso in cui Davigo, il grande moralizzatore della vita pubblica del Paese, decidesse davvero di restare al proprio posto, finirebbe per violare le norme in vigore. Già questa possibilità basterebbe per parlare di “caso Davigo”, rispondendo affermativamente al quesito lanciato da Rossi. Il punto è che c’è dell’altro.

  

Restando al Csm, Davigo continuerebbe a far parte della sezione disciplinare, senza però essere sottoposto alla giustizia disciplinare come tutte le toghe. “Un ex magistrato - e tale è, a tutti gli effetti, chi viene collocato in quiescenza - non è più soggetto alla giurisdizione disciplinare”, sottolinea Rossi, “la giustizia disciplinare può essere infatti esercitata esclusivamente nei confronti dei magistrati in servizio”. “Il componente del Consiglio superiore ‘pensionato’ si troverebbe dunque in una posizione del tutto anomala ed eccentrica sia rispetto ai consiglieri togati del Consiglio sia rispetto alla generalità dei magistrati”, afferma il direttore di “Questione giustizia”: non sarebbe esercitabile nei suoi confronti alcuna azione per violazioni del codice disciplinare.

Insomma, “il ‘già pensionato ma ancora consigliere superiore’ sarebbe dunque libero dai fondamentali doveri propri del magistrato ed esente da ogni possibile sanzione disciplinare per la loro violazione (…), tutto ciò mentre, nella possibile veste di giudice disciplinare, sarebbe chiamato a giudicare (non più i suoi pari ma) magistrati in servizio o fuori ruolo e gli stessi componenti togati del Consiglio ancora sottoposti alla giurisdizione disciplinare”.

Che Davigo non abbia alcuna intenzione di mollare la poltrona, infilandosi nell’assurda situazione appena descritta, secondo Nello Rossi sarebbe confermato da alcuni sviluppi recenti relativi al “caso Palamara”, cioè allo scandalo delle nomine che ha travolto la magistratura. Davigo, infatti, ha deciso di non astenersi come giudice disciplinare nel procedimento nei confronti di Palamara, mentre pochi giorni fa il Csm ha respinto l’istanza di ricusazione nei confronti di Davigo che era stata presentata dalla difesa del pm di Roma (ora sospeso e indagato per corruzione).

Se si considera che già ora per il procedimento disciplinare sono state previste udienze fino a dicembre (cioè dopo la data di pensionamento di Davigo), diventa sempre più chiaro come l’ex pm di Mani pulite non abbia alcuna intenzione di abbandonare l’incarico. “Se questa fosse la soluzione immaginata - e preordinata - all'interno del Consiglio è bene mettere in luce sin d’ora che, a nostro avviso, essa si porrebbe in netto contrasto con la legalità e la funzionalità dell’organo e con le esigenze di rappresentatività e di legittimazione che devono caratterizzare l’attività del Consiglio Superiore e in particolare modo della Sezione disciplinare”, afferma in maniera netta Rossi.

Nelle conclusioni, il direttore della rivista di Md non risparmia un ulteriore attacco nei confronti di Davigo: “Se poi a sostegno della perdurante presenza di Davigo in Consiglio si dovesse invocare ‘esclusivamente’ il successo elettorale legittimamente conseguito nelle ultime elezioni, ritenendo che esso risolva in tronco ogni altra questione di diritto e di opportunità, allora dovremmo trarne una inquietante conclusione: che sono penetrati in magistratura la mentalità e lo stile di non pochi uomini politici del nostro Paese per i quali ogni principio e ogni regola di funzionamento delle istituzioni - e financo ogni discussione - possono essere spazzati via dal risultato elettorale”. Come a dire, insomma, che mantenendo la poltrona Davigo rischia di apparire come un esponente di quella classe politica da sempre al centro delle sue stesse sparate moraliste e giustizialiste. E’ forse questa, in fondo, l’accusa più pesante per l’ex pm di Mani pulite.