Un leader unfit a guidare il centrodestra. Il declino di Salvini spiegato dai sondaggisti

Categoria: Italia

In bilico sul vuoto che c'è al centro, logorato a destra dalla Meloni. Masia, Noto e Weber analizzano la parabola del consenso del capo della Lega, a un anno dal Papeete

di Domenico Di Sanzo, 3.8.2020 ilfoglio.it lettura 4’

È l'enigma del Papeete. Anche a un anno di distanza. Matteo Salvini è ancora il leader del primo partito italiano secondo i sondaggi; ma le stesse rilevazioni, lette in controluce, certificano un declino che pare irreversibile. Con il fantasma di Giorgia Meloni che incombe alle spalle e un grande spazio vuoto al centro che il Capitano è incapace di presidiare.

Per Fabrizio Masia, direttore dell'istituto Emg Acqua, c'è una grande prateria neutra, più che moderata, quelli che insomma finiscono nella categoria sempreverde degli "indecisi", in grado di orientare le carriere politiche dei leader italiani che sappiano intercettarne le pulsioni. "C'è un 40% di persone che non si schierano - dice al Foglio - a differenza del passato abbiamo una mobilità molto forte dell'elettorato. Basta confrontare i risultati delle europee dell'anno scorso con quelli delle politiche del 2018, con i valori di Lega e M5s che si sono praticamente invertiti a distanza di un anno". Un bacino di persone che, per il sondaggista, deciderà le sorti delle prossime elezioni politiche, quando ci saranno, ma "che non andrà a votare in larga parte alle regionali". E forse è in questo terreno inesplorato che si giocherà la partita di un leader che appare come la copia sbiadita del capo che chiedeva i pieni poteri tra bicchieroni di mojito, cubiste e vocalist che cantavano l'inno di Mameli con arrangiamento da disco music. Tutto è cambiato in poco meno di 365 giorni. E adesso l'immigrazione è più che altro una zattera a cui aggrapparsi per non sprofondare. "Di sicuro è un elemento identitario", ci spiega Masia. Il direttore di Emg Acqua però non vede grandi possibilità di un ritorno al 34% delle ultime europee, nemmeno dopo l'autorizzazione al processo per la vicenda della nave Open Arms: "Abbiamo visto con Berlusconi che quando c'è la percezione dell'accanimento giudiziario l'elettorato si stringe intorno al leader, con questo scenario Salvini non dovrebbe perdere, ma neanche riprendere a crescere ai ritmi dell'anno scorso".

 

Antonio Noto di Ipr marketing è più spietato nel resoconto temporale della caduta di Salvini: "Il calo è cominciato esattamente a novembre 2019 e da quel momento è stato progressivo". La fotografia che ci restituiscono gli addetti ai lavori è quella di un leader della Lega goffo nella capacità di adattarsi ai tempi nuovi, mutati improvvisamente con il Covid, stonato quando tocca suonare uno spartito più moderato. "La sua unica fortuna è che non è arrivato un personaggio capace di conquistare l'area liberale, conservatrice e popolare - riflette Roberto Weber di Ixè - perciò Salvini galleggia, nonostante non sia adatto a occupare questo grande spazio di centro".

Unfit alla causa moderata, dunque. Ma, contemporaneamente, sorpassato a destra da Fratelli d'Italia. "Ha perso appeal tra gli indecisi e nel blocco di destra ha subito un travaso di voti verso la Meloni", sentenzia Masia. Ma perché i sovranisti adesso sembrano quasi preferirla all'ex ministro degli Interni? "La Meloni sull'Europa è parsa più lineare, come pure sul Mes, e soprattutto non ha partecipato al mercimonio con il M5s, è apparsa più coerente e non ha fatto il Papeete", dice Weber.

Insomma, si torna sempre sul luogo del delitto. "Tutto è cominciato da lì", secondo Noto. Che individua una delle ragioni della disaffezione degli italiani per Salvini proprio nell'incapacità di incidere sui problemi post-Coronavirus dall'opposizione: "Lui non ha compreso che il mondo è cambiato, dopo il Covid la gente ha problemi e vuole vedere subito i fatti, quindi tende a fidarsi di chi governa. E dato che per gli elettori le elezioni politiche non sono all'orizzonte, le promesse di un partito di opposizione non sono credibili. Anzi, anche con uno scenario diverso, la Lega ha raggiunto il suo picco con il 34% delle europee, mentre era al governo", ragiona il direttore di Ipr.

Anche Renzi raggiunse la vetta del consenso dal governo, alle europee del 2014, con il famoso 40%. Uno spunto per Weber di Ixè, che si avventura in un'analisi antropologica: "Sia dopo il referendum costituzionale sia dopo il Papeete, gli elettori hanno dimostrato che non perdonano ai leader l'apparire perdenti, non gli perdonano la debolezza, è la ferocia degli italiani".