Salvini, Giorgetti e la lezione del Papeete. Se perseverare è diabolico..

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Un anno dopo alla festa della Lega a Cervia del Papeete rimangono solo i fantasmi. L'oltranzismo di Salvini non paga nei sondaggi, mentre la Meloni cavalca i consensi e Zaia incombe. La svolta moderata ormai sembra un miraggio

Francesco Bechis, 4.8.2020 formiche.net lettura 3’

Un anno fa, al Papeete, c’erano tutti. Fra balli sfrenati e cocktail sulla spiaggia romagnola divenuta simbolo della calda estate gialloverde, tutto lo stato maggiore della Lega faceva a gomitate nella ressa per fare cerchio intorno al “Capitano” Matteo Salvini. Quasi tutto.

 

Giancarlo Giorgetti, vicesegretario, Richelieu della vecchia e nuova guardia del Carroccio, aveva preferito la discrezione della Valchiavenna. Un anno dopo, alla festa della Lega di Cervia, il “numero due” c’è, anche se solo in video-collegamento, dalla Liguria.

Ma del Papeete è rimasto poco o nulla. Chi è presente al ritrovo rivierasco dei leghisti racconta una manifestazione assai meno festante. Come suo solito, Giorgetti difende a spada tratta Salvini, dà addosso a Conte, ai suoi “pieni poteri”, nega malumori a via Bellerio. Dopotutto, la lealtà al partito e al segretario non è mai stata messa in discussione.

Eppure nelle parole del vice riemerge a tratti una distanza dal leader. Come quando rievoca con un filo di rassegnazione l’ipotesi di governissimo, di cui lui, prima di tutti, si era fatto sostenitore, salvo poi abbandonare l’idea di fronte alle tante resistenze, da fuori ma soprattutto da dentro. “Io sono stato il propugnatore della possibilità che tutte le forze responsabili si mettessero al servizio del bene comune”, dice intervistato da Maria Latella, “questa responsabilità è stata snobbata”.

Il primo a snobbarla, in effetti, è stato proprio Salvini. Che ha optato fino all’ultimo per l’opposizione nuda e cruda, per le barricate, persino contro le misure sanitarie per contenere la pandemia, persino contro le mascherine, ancora oggi. Che ha chiuso (a volte, strizzato) un occhio verso una destra oltranzista, estrema.

La strategia non ha pagato. Lo dicono i sondaggi, lo dicono i tanti mal di pancia che si fanno strada fra i leghisti del Nord, infastiditi dal negazionismo di una piaga che ha messo in ginocchio quelle terre, senza lasciare una sola persona senza un parente, un affetto colpito.

In tanti guardano a Luca Zaia, il “Doge” veneto pronto a far man bassa di voti alle regionali e proiettato dai media (e da tanti papaveri di partito) a succedere a Salvini alla guida della Lega. Nessuno conferma a telecamere accese, ma è evidente che non si tratta più di vuoto retroscenismo.

Un anno dopo, a Cervia, del Papeete non restano che i fantasmi. Salvini è ancora il leader, ma un po’ meno indiscusso, un po’ meno in sella. Non lontano da lui, c’è una Giorgia Meloni che non smette di crescere, e già fa le prove tecniche da leader del centrodestra. Tuona contro Conte al Senato, ma riconosce anche il successo del Recovery Fund, e invita il premier a un convegno sull’ “interesse nazionale”. Che sia o meno una “svolta moderata”, è comunque una svolta, e sta dando i suoi frutti.

Tante volte, da quando sono iniziate le montagne russe della legislatura, Giorgetti ha indicato a Salvini quello stesso bivio. Non è stato ascoltato, e adesso le mani del “Capitano” sono un po’ meno ferme sul timone della nave.