Ecco perché per giovani e precari il blocco dei licenziamenti è stato una fregatura

Categoria: Italia

L'analisi sui dati dell'Istat di Garnero e Seghezzi. L'aumento drastico degli inattivi: un milione in più nell'ultimo anno

LUCA ROBERTO 11 SET 2020ilfoglio.it lettura3’

Tra marzo e giugno è andato in fumo quasi mezzo milione di posti di lavoro, nonostante il divieto del governo. Perché insistere con questa misura? I dati dell'Istat analizzata da Garnero (Ocse) e Seghezzi (Adapt)

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OCCUPAZIONE ISTAT LICENZIAMENTI tabelle in www.ilfoglio.it

Nel bel mezzo della pandemia, tra marzo e giugno, in Italia è andato perso quasi mezzo milione di posti di lavoro. Basterebbe questo dato per figurarsi il guado in cui si trova l'economia italiana, ma il bilancio è ancor più gravoso se si fa un confronto con il secondo trimestre del 2019. Rispetto ad allora il saldo è meno 841mila occupati, dice l'Istat, che oggi ha diffuso il consueto aggiornamento sullo stato del mercato del lavoro in Italia.

“I dati non sono nuovissimi, ma aiutano a farsi un'idea migliore su fenomeni che avevamo già osservato nei mesi scorsi”, spiega al Foglio Andrea Garnero, economista dell'Ocse. “La crisi è stata pagata soprattutto da giovani e lavoratori precari, e cioè gli appartenenti alle categorie non salvaguardate dal blocco dei licenziamenti introdotto dal governo: gli autonomi e i dipendenti a termine”. E infatti, delle oltre 800 mila persone che hanno perso il lavoro, “circa 670 mila sono lavoratori che non avevano un contratto a tempo indeterminato, più facili da mandare via, per lo più giovani”, conferma Francesco Seghezzi, presidente di Adapt. “Del resto l'altro dato che mi sembra evidenziare il rapporto Istat è che la pandemia ha avuto un impatto rilevante soprattutto sulla fascia anagrafica 15-34 anni. Se si tiene conto del fatto che fino a 22 anni solitamente si è studenti, il sottogruppo 23-35 anni è stato quello più colpito di tutti”.

E' vero che l'analisi si ferma a giugno e non tiene conto della “ripresina” che sembra esserci stata a partire da luglio, quantomeno negli indici della produzione industriale. Ma è utile per capire l'utilità delle misure su cui il governo ha deciso di scommettere per uscire dall'emergenza. Come suggerisce Garnero, “il blocco dei licenziamenti è stato un unicum a livello europeo. Osservando il congelamento che ha prodotto, si può dire che è stata una misura ridondante, inutile e non necessaria visto che già era stata garantita la cassa integrazione in deroga. Per le aziende i licenziamenti hanno un costo, sia economico sia emotivo, e in questi mesi avrebbero licenziato solo per esigenze di ristrutturazione”.

 

In nessun altro paese europeo si è ricorso al congelamento del mercato del lavoro. Una scelta che avrà impattato molto da un punto di vista sociale, bruciando centinaia di migliaia di posti di lavoro, no? “In realtà – dice Garnero –, i casi della Francia, della Germania e finanche della Gran Bretagna, in cui la disoccupazione non è schizzata alle stelle come si temeva, dimostrano quanto da noi il blocco, che ha un costo politico ed economico molto elevato, abbia avuto un effetto nullo. Piuttosto si sarebbe potuto scommettere sulla creazione di nuovi posti di lavoro per tutti quelli che in questi mesi l'hanno perso”.

“Al di là di una contrarietà di principio non è facile dare un giudizio a priori sull'utilità pratica dello strumento. Lo scopriremo non prima di dicembre – gli fa eco Seghezzima è molto probabile che alla fine del periodo molte aziende faranno un po' di licenziamenti e l'interruzione di questi mesi sarà valsa a poco”.

“Il tasso di disoccupazione è in diminuzione rispetto sia al trimestre precedente sia allo stesso trimestre del 2019 e si associa all’aumento – congiunturale e tendenziale – del tasso di inattività delle persone con 15-64 anni”, scrive poi l'Istituto di statistica nel documento . E' più o meno lo stesso fenomeno che si era osservato subito dopo le prime settimane del lockdown: a mano a mano che le attività economiche chiudevano e le persone venivano invitate a rimanere a casa, la gente smise di cercare lavoro, andando a ingrossare la quota degli inattivi. Rispetto a un anno fa oltre un milione di persone in più si trova in questa condizione di limbo.

“Non sappiamo ancora se ne siamo fuori, non abbiamo ancora ripreso a viaggiare e a consumare come eravamo abituati a fare”, aggiunge con spirito analitico Garnero. “E' la riprova che la fiducia è un elemento fondamentale delle dinamiche economiche. La crisi ha colpito soprattutto il settore dei servizi: nel secondo trimestre le ore lavorate dagli hotel sono calate del 73 per cento, del 66 per cento quelle del settore dell'intrattenimento. Il governo potrebbe porre rimedio a queste sofferenze invece di insistere su misure che non hanno funzionato”.