Separati alla regionali, Pd e M5s provano a rifugiarsi nel voto disgiunto nelle Marche, in Toscana e nella Puglia. La tecnica elettorale della doppiezza

Categoria: Italia

CARMELO CARUSO 19 SET 2020 ilfoglio.it

PD M5S GIANI EMILIANO DE LUCA REGIONALI 2020

Si disgiungono in Puglia, Marche e Toscana per poter rimanere congiunti al governo. E dunque si devono dividere per respirare ancora insieme, nascondersi in regione per amarsi ancora a Roma, mettere una croce al consigliere perdente e una crocetta al presidente che davvero “potrebbe farcela” perché come dice il Pd al M5s “solo il disgiunto evita la vittoria della destra”.

C’è molto di più che il separarsi e l’unirsi nel voto disgiunto che chiedono in queste ore Eugenio Giani, Maurizio Mangialardi e Michele Emiliano, i candidati del Pd che non devono sfidare ma “sfilare” voti agli alleati del M5s. Nella parola “disgiunto” è concentrata tutta la complessità di questa intesa necessaria che non riesce a farsi però famiglia e c’è la difficoltà di Nicola Zingaretti che non può disgiungersi da Luigi Di Maio così come Di Maio non può disgiungersi da Alessandro Di Battista.

E se solamente si volesse continuare, Beppe Grillo non può staccarsi da Davide Casaleggio e Casaleggio non accetta che il M5s si possa staccare da lui. E c’è Giuseppe Conte che è il premier che si è già bis-giunto: un governo con Matteo Salvini e uno con Matteo Renzi. E infatti solo Conte, che è l’avvocato professore e che si era servito del termine “congiunto” per omaggiare il fratello di Sergio Mattarella e tenere buono il M5s che era anti Mattarella, poteva introdurre questo termine salvezza sia quando è “con” che quando è “dis”.

Durante il lockdown il “con” era l’unico modo per uscire di casa mentre oggi il “dis” è un altro modo per salvare la Toscana che potrebbe essere la casa che brucia. Quando a Giani è stato chiesto se avesse voglia di fare l’appello al “voto disgiunto” quasi non riusciva a dirlo. Ha risposto così: “Faccio appello ai valori del M5s che penso di poter interpretare”. Mangialardi, che ha provato fino alla fine a convincere il candidato Gian Mario Mercorelli come Giani ha alzato le braccia: “Credetemi, ci ho provato. Avrei voluto il M5s con me”. Per Emiliano, che dei tre è lo spregiudicato, lo spericolato e il populista, il voto disgiunto è l’offerta più sobria che ha rivolto ai pugliesi indecisi. Solo Vincenzo De Luca non ha avuto bisogno di chiedere agli elettori del M5s di scollegarsi. De Luca è già disgiunto dal resto d’Italia.

Nella richiesta di voto disgiunto del Pd in Veneto c’è invece la solita questione settentrionale, il disarmo, le mani alzate, la richiesta dell’ostaggio a trattamenti umanitari. Con una lettera agli iscritti, il segretario di una sezione Pd di Vicenza ha quasi implorato: “Votate Zaia come presidente ma almeno date un voto al nostro candidato consigliere”. E’ insomma vero che non è una novità disgiungere il voto e che nei piccoli municipi esiste una letteratura di voto disgiunto che è la buona scissione dei sentimenti, il modello super Ursula, “la spartizione” di Emerenziano Paronzini del racconto di Piero Chiara che viveva con tre sorelle e ogni notte, a turno, andava a trovarle e si disgiungeva. Di certo è meglio questo che lo sgangherato invito (“turatevi il naso e votate disgiunto”) a cui si è aggrappato ieri il Fatto Quotidiano per fare andare a braccetto l’integralismo di carta e l’adorazione per Conte. E’ più voltagabbana chi “pur di abbattere Conte è pronto addirittura a voltar gabbana dal sì al no sul taglio dei parlamentari” o chi per una domenica volta pagina e autorizza gli elettori all’infrazione? Non c’è dubbio che il voto disgiunto sia un bizantinismo, la tecnica elettorale che istituzionalizza la doppiezza da strapaese.

E’ il vecchio adagio “di lotta e di governo”, “lo scendiamo in piazza ma siamo pronti al dialogo”, lo stare in mezzo per non cadere. Walter Veltroni, autore del “ma anche” e che ha annusato l’aria disgiunta, ha dichiarato che al referendum voterà “no” salvo precisare che se fosse stato “un voto sul governo avrei però votato sì”. Disgiungersi è una antica condizione italiana ma bisogna avere la faccia tosta di rivendicarla e mai suggerirla sotto voce. Del resto ha disgiunto l’esito delle elezioni regionali anche Matteo Salvini che “non influiranno sul governo” e Luca Zaia che ha promesso, per cinque anni, di non disgiungersi dal Veneto. Disgiungersi è il tenere il piede in due scarpe, il voto che si raddoppia, la scappatella che tiene unito il matrimonio. Disgiunto è la nostra vera parola enciclopedia.