Le (in)certezze di Zingaretti. E se fosse il Pd ad avere cambiato linea su immigrazione, sicurezza e Ius soli?

Categoria: Italia

Ufficialmente, per i democratici, tutte le difficoltà sono colpa dei Cinquestelle, cioè del partito con cui ripetono di volersi alleare di qui all’eternità. Ma allora, delle due l’una: o pensano di fargli cambiare idea (e se non ora, quando?), o l’hanno cambiata loro

Francesco Cundari, 2.10.2020 linkiesta.it lettura 4’

Sembra ieri che giornali e televisioni pubblicavano allarmanti sondaggi sulla diffusione del sentimento antieuropeista in Italia, corredate da dolenti editoriali sulle ragioni di un così radicale mutamento di opinione, in quello che era stato a lungo il paese più europeista del Continente. Per circa un anno, dopo le elezioni del 2018, le forze favorevoli all’uscita dall’euro sono state addirittura maggioranza in Parlamento, e maggioranza schiacciante in talk show, osterie e social network. Non servono altri sondaggi per verificare quanto le cose siano cambiate da allora, e nel giro di appena un paio di mesi, né serve particolare sagacia per scoprirne il motivo, e cioè la decisione dell’Unione europea, il 21 luglio scorso, di ricoprirci di soldi.

Ebbene, c’è oggi un solo opinionista in Italia capace di sostenere che se il secondo governo Conte avesse mantenuto sulle questioni europee la stessa linea di sostanziale continuità con le politiche del governo precedente, come ha fatto su ogni altra materia, avremmo ottenuto gli stessi risultati? C’è davvero qualcuno disposto a credere che di fronte a un governo italiano ancora capace di rilanciare le grottesche sparate già più volte ripetute (e rimangiate) ai tempi della prima finanziaria gialloverde, Angela Merkel ed Emmanuel Macron sarebbero corsi in nostro soccorso, esortando anche i paesi più riluttanti a mostrare solidarietà verso un paese in difficoltà, mentre il diretto interessato seguitava a insultarli e a minacciare sfracelli?

È evidente che se le cose si sono messe per il verso giusto è proprio perché, almeno su questo fronte, il cambio di linea è stato radicale: dall’antieuropeismo dell’esecutivo gialloverde si è passati all’europeismo inflessibile del governo giallorosso. E se la manovra ha funzionato così bene anche sul piano del consenso e degli equilibri politici è semplicemente perché quella posizione era fondata sulla realtà, perché la sua corrispondenza all’interesse nazionale è stata confermata dai fatti, certificata a suon di miliardi nel momento di massimo bisogno. Al punto che gli stessi antieuropeisti di ieri hanno preferito cambiare registro, o semplicemente cambiare discorso.

Da questa vicenda si potrebbe trarre dunque un’utile lezione sui modi più efficaci di combattere il populismo, se solo ci fosse ancora qualcuno intenzionato a farlo sul serio. Il calendario politico-elettorale, peraltro, si presterebbe alla perfezione, considerando come verosimilmente, qualunque cosa accada in parlamento, sarà molto difficile che si torni a votare in tempi brevi.

Dunque, quale occasione migliore per imporre finalmente una svolta alle politiche dell’immigrazione, della cittadinanza, dell’integrazione? Cosa stiamo aspettando? Si compia ora, e la si compia subito, quella svolta che Nicola Zingaretti e tutto il Pd hanno promesso reiteratamente sin dalla nascita di questo governo. Si cancellino i decreti sicurezza e si ricostruisca una politica razionale e ragionevole di accoglienza e integrazione. Non si rinunci più a dare battaglia su questioni di principio, che hanno un valore simbolico ma anche concretissimo per la vita di milioni di persone, come la cittadinanza per chi è nato e cresciuto in Italia.

C’è da scommettere che se domani una legge ragionevole come lo Ius culturae fosse approvata, la questione scomparirebbe istantaneamente dal terreno della contesa politica, proprio come è accaduto con le unioni civili. Ricordate? Per decenni l’attività del parlamento in materia è stata paralizzata da una guerra di religione, quasi che un allargamento dei diritti alle coppie non tradizionali potesse mettere a rischio la convivenza civile. Tutti gli infiniti tentativi di compromesso, sin dai tempi dei primi governi di centrosinistra degli anni novanta, dai pacs ai dico a tutte le più arzigogolate soluzioni immaginabili, sono stati respinti con perdite. Fino a quando nel 2016 il governo Renzi ha deciso di forzare mettendo la fiducia sul provvedimento. Ebbene, dal giorno dopo, chi ne ha più sentito parlare?

Un minuto dopo l’entrata in vigore dello Ius culturae non ci sarebbe un solo partito, un solo parlamentare, un solo esaltato che proporrebbe di togliere la cittadinanza a chicchessia, proprio come a nessuno dei partiti contrari alle unioni civili è mai venuto in mente neanche per scherzo di proporne la revoca.

Lo stesso discorso vale per una seria politica di integrazione. Ma bisogna cominciare subito. In modo che quando torneremo in campagna elettorale sia evidente a tutti che nessuna apocalisse si è scatenata, che le cose funzionano e che non c’è nessun motivo di ricominciare da capo un’altra volta.

Dunque, cosa aspettiamo? Ufficialmente, il Pd sarebbe completamente d’accordo, e infatti è oltre un anno che promette di rimettere mano ai decreti Salvini, portare avanti la battaglia per lo Ius culturae, tornare a una gestione dell’immigrazione – e dei porti – più razionale e più umana (sulla questione libica e i recenti voltafaccia del Pd stendiamo un velo pietoso, perché c’è un limite anche al livello di ipocrisia tollerabile in un articolo). Il problema, si sa, sono i Cinquestelle.

I democratici, ci assicurano, farebbero ben volentieri tutto quello che abbiamo detto e molto di più, ma sono al governo con i Cinquestelle, che invece non ne vogliono sapere. Forse solo adesso, dopo un anno di tira e molla, sarà possibile rivedere almeno alcuni punti dei decreti sicurezza. Più di così che pretendiamo? Ci vuole anche un po’ di realismo.

E per carità, il realismo è fondamentale. Il punto però è che il Movimento 5 stelle, per colpa del quale non si potrebbero fare tutte le belle cose che i democratici dicono di desiderare ardentemente, è lo stesso con cui il Pd insiste a voler costruire la coalizione progressista, il nuovo centrosinistra e auspicabilmente l’alleanza di governo di domani. Di conseguenza, l’intoppo di cui stiamo parlando non è un problema contingente. Ci sarà sempre.

Ma allora, delle due l’una: o i democratici ritengono di riuscire nel frattempo a far cambiare idea all’alleato (e in tal caso, se non ora, quando?), o l’amara e indicibile verità è che l’hanno già cambiata loro. E di tutte le cose di cui abbiamo parlato fin qui non solo non se ne realizzerà alcuna, ma alle prossime elezioni non ci sarà nemmeno chi le proponga, almeno tra i principali schieramenti.