Sorpresa. I partiti tornano di moda anche tra chi li detestava

professionisti dell'anticasta hanno fatto danni ma hanno senz'altro contribuito anche parte degli stessi partiti e dei loro dirigenti

foto fiore bruciato

DAVID ALLEGRANTI 14 OTT 2020 ilfoglio.it

Ma come stanno in Italia? Numeri, soldi, iscritti, tessere e ragioni di un ritorno di fiamma. Un’inchiesta

PARTITI

Se c’è un’istituzione sputtanata (purtroppo) è quella dei partiti. Il sondaggio Demos del 2019 sugli italiani e lo Stato li dà al 9 per cento di fiducia, sotto il Parlamento (15 per cento, ma questo lo avevamo capito al referendum). I professionisti dell’anticasta hanno fatto danni ma hanno senz’altro contribuito anche parte degli stessi partiti e dei loro dirigenti. Non aver dato piena attuazione all’articolo 49 della Costituzione rende opachi i meccanismi di funzionamento dei partiti politici, che sono associazioni non riconosciute. Come spiega il professor Salvatore Curreri, docente di diritto costituzionale al Università di Enna “Kore”, nel suo manuale “Lezioni sui diritti fondamentali”, edito nel 2018 da Franco Angeli, viene da qui “la necessità di una legge sui partiti, specie per regolare quelle attività dei partiti di sicuro rilievo pubblico, come la partecipazione alle elezioni e il rapporto con i rispettivi gruppi parlamentari”.

È molto difficile, in alcuni casi, sapere quanti iscritti hanno e bisogna fidarsi di quello che ti dicono i vari responsabili tesseramento o organizzazione. “Gli iscritti al Pd nel 2019”, dice al Foglio il responsabile organizzazione Stefano Vaccari “sono stati 412 675 (+10 per cento sul 2018)”. Da Fratelli d’Italia ci rimandano a Wikipedia: 160 mila nel 2016, ma oggi probabilmente saranno di più. Dalla Lega il responsabile tesseramento, l’europarlamentare Alessandro Panza, non risponde, spulciando su Internet si intuisce che gli iscritti potrebbero essere 50 mila. Forza Italia rilascia una tessera biennale in occasione dei congressi e, spiega al Foglio il responsabile del tesseramento Gregorio Fontana, “quest’anno non abbiamo fatto campagne congressuali”. Comprensibile, con l’emergenza sanitaria. Nel 2018-2019 quindi i “soci”, così li definisce Forza Italia, erano 97 mila. Nel 2020 per ora c’è stata soltanto l’adesione di quadri ed eletti: da qui alla fine dell’anno dovrebbero essere 15 mila. Il M5s non è un partito, per sua scelta, ed è organizzato in maniera differente, anche per quanto il finanziamento indiretto (non riceve il 2 per mille perché non è un partito e non si è dotato di uno statuto, da qui tutta la grandissima saga a suo tempo del non statuto di Beppe Grillo). Questo significa che il M5s non ha accesso alle agevolazioni fiscali ma, attenzione, non significa che i Cinque stelle non ricevano denaro pubblico. Arriva, infatti ai gruppi parlamentari (di tutti, non solo del M5s).

Ma andiamo con ordine. In Italia, come spiega benissimo il professor Curreri, si sono susseguite diverse modalità di finanziamento. La prima arrivò nel 1974 a seguito dello scandalo dei finanziamenti in nero versati da imprese petrolifere ai partiti di maggioranza, quando fu introdotto il finanziamento pubblico annuo dei partiti, erogato sulla base del numero dei parlamentari per ogni gruppo. “Tale obiettivo, però, si rivelò illusorio, come dimostrarono i fatti di ‘tangentopoli’, per cui tale sistema fu abrogato per referendum il 18 aprile 1993 dal 90,3% dei votanti”, ricorda Curreri. Da allora, si sono cercate soluzioni alternative, come la contribuzione diretta e volontaria tramite destinazione a un apposito fondo del quattro per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche o l’aumento dei rimborsi delle spese elettorali previsto già dalla legge del 1974 ma poi determinato in base al numero degli iscritti alle liste elettorali ed erogato in base ai voti ricevuti dalla lista nelle elezioni, indipendentemente da quanto effettivamente speso e rendicontato. “Non un rimborso, quindi, ma un finanziamento pubblico surrettizio”. Oggi sono ammessi al finanziamento pubblico, seppur indiretto, i partiti che hanno rappresentanza parlamentare “che rispettano i requisiti di trasparenza e democraticità”, dice la legge, e che si sono iscritti in un registro dopo aver depositato uno statuto.

Il finanziamento pubblico è consentito anche per quei partiti che hanno partecipato alle elezioni nazionali o europee in forma aggregata, riuscendo a conquistare almeno un candidato eletto. Oppure quelli ai quali faccia riferimento “un gruppo parlamentare costituito in almeno una delle Ca-mere (…) ovvero una singola componente interna al Gruppo misto”. Due sono i modi: o attraverso erogazioni liberali fiscalmente agevolate (con detrazione fiscale del 26 per cento per donazioni fino a 30 mila euro) oppure attraverso “contribuzione indiretta fondate sulle scelte espresse dai cittadini”, vale a dire il famoso 2 per mille.

Quest’anno, sostengono i tesorieri di vari partiti, non sarà l’anno giusto per valutare la bontà del 2 per mille, la cui prima tranche è stata erogata poche settimane fa. I dati disponibili per intero sono quelli sulle dichiarazioni 2018. Il Pd nel 2019 ha raccolto 8.437.932 milioni di euro (il 42,17 per cento delle scelte), segue la Lega con 3.091.083 euro (il 20,21 per cento), poi Fratelli d’Italia con il 1.168.061 euro (6,91 per cento). In totale i partiti hanno raccolto dal 2 per mille 18.053.664 di euro da 1 milione e 358.085 scelte (i contribuenti in totale sono 41.211.336). I soldi sono pochi, come si vede, e certamente non sufficienti a far funzionare le macchine dei partiti. Qualcuno ha anche dovuto alzare il costo della tessera. Quella del Pd a Roma adesso costa 40 euro: 20 per la federazione e 20 per il circolo territoriale.

“In più – dice al Foglio Gregorio Fontana, responsabile organizzazione di Forza Italia – tutti i partiti sono gravati dalle conseguenze della legge sulla trasparenza, risalente a due anni fa, che scarica sulle strutture centrali dei partiti, le uniche ormai rimaste, la ricerca di tutti i certificati penali dei candidati, dal Comune più piccolo al parlamento. La responsabilità di reperire i certificati, un lavoro incredibile perché bisogna avere la delega dei singoli candidati per andare a prenderli nelle cancellerie dei tribunali, è a carico non del singolo ma del partito che lo candida. Ora, io non dico che non ci debba essere la trasparenza, è assolutamente necessaria, ma i partiti, che ormai non hanno più le risorse di un tempo, fanno fatica ad adempiere a tutti questi obblighi – ai quali potrebbe pensarci l’amministrazione pubblica – e sprecano risorse che potrebbero essere utilizzate per l’organizzazione della campagna elettorale. Le multe, peraltro, partono da 12 mila euro e arrivano fino a 120 mila”.

I partiti comprensibilmente si lamentano e su queste pagine più volte è stato ricordato un fatto all’apparenza molto semplice: la politica ha un costo ed è giusto pagarlo. Però la legislazione consente loro un escamotage per avere comunque risorse pubbliche: i fondi ai gruppi parlamentari, che ricevono tutti, compreso il M5s, che non avrà accesso al 2 per mille e alle altre agevolazioni fiscali ma può contare sui soldi ai gruppi di Camera e Senato. Fra il 2013, anno in cui è iniziata la progressiva abolizione dei rimborsi elettorali, e il 2018, i rapporti di forza si sono invertiti. Nel 2013, secondo uno studio di Open Polis del 2019, la quota di finanziamento pubblico ai gruppi era del 37 per cento e ai partiti del 63 per cento. Nel 2018 la quota ai gruppi era del 79 per cento e ai partiti solo del 21. Dunque mentre il finanziamento “ai partiti veniva ridotto, passando da oltre 90 milioni di euro annui (certi) ai circa 14 attuali (incerti), quello ai gruppi è rimasto invariato, attorno ai 53 milioni (22 al Senato e circa 31 alla Camera). Per questa ragione i gruppi parlamentari hanno acquisito una nuova centralità nello scenario politico”.

Nel 2018 il M5s ha ricevuto come gruppo parlamentare 13.721.081 euro e zero come partito (per i motivi descritti sopra). La Lega 7.397.223 come gruppo parlamentare e 10.556.455 come partito (totale 17.953.678). Il Pd 11.149.303 come gruppo parlamentare e 11.974.493 come partito (totale 23.123.796). Forza Italia 7.904.213 come gruppo parlamentare e 6.638.606 come partito (totale 14.542.819). Fratelli d’Italia 2.351.392 come gruppo parlamentare e 2.602.575 come partito (totale 4.953.967). Secondo Open Polis, “per avere un’idea del nuovo equilibrio tra partiti e gruppi parlamentari, è sufficiente osservare l’andamento della spesa per il personale: in forte calo per i partiti, costretti a tagli di bilancio dalla fine dei rimborsi, molto più stabile per i gruppi parlamentari”. La spesa per il personale dei partiti è un quarto di quella dei gruppi parlamentari: nel 2017 i gruppi hanno speso 39 milioni e mezzo di euro, mentre i partiti meno di nove e mezzo. Rispetto al 2014 sono aumentate le spese in comunicazione. Nel 2014 i gruppi della Camera hanno speso 2,55 milioni di euro, quelli del senato 0,43 milioni. Nel 2016, anno del referendum costituzionale, i gruppi della Camera hanno speso 4,64 milioni di euro, mentre quelli del Senato 0,83 milioni. Nel 2017 hanno speso 2,64 milioni di euro alla Camera e 1,02 al Senato.

Ora, la domanda che forse qualche lettore a questo punto si sarà fatto è: ma se i partiti non hanno soldi, come vengono finanziate le iniziative politiche in giro per l’Italia? Alcuni partiti si autotassano (gli eletti del Pd versano o dovrebbero versare il 10 per cento della loro indennità la partito, per esempio) ma soprattutto arrivano in soccorso le risorse dei gruppi parlamentari per organizzare eventi che altrimenti non sarebbero possibili. I soldi, come si capisce, sono una questione fondamentale per i partiti, l’unica certezza rimasta in una società post ideologica. Così post ideologica che persino i Cinque stelle adesso faranno un congresso e dovranno decidere che cosa essere. Un partito oppure no? “In questa storia – dice al Foglio il professor Leonardo Morlino, docente alla Luiss e direttore del magazine Luiss Open – c’è un paradosso e c’è una contraddizione. Il paradosso è che i partiti cambiano per resistere, la contraddizione è nel fatto stesso che senza i partiti la democrazia è impossibile. Una legge sui partiti sarebbe sbagliata, perché ingesserebbe un mondo in trasformazione, che sta cambiando ma ancora non capiamo in che direzione. La democrazia digitale resta una illusione, può diventare una forma di autoritarismo. Per cui, a mio avviso, si dovrebbe lasciare uno spazio di flessibilità che è tutt’ora importante per limitare la manipolazione dell’opinione pubblica”.

Per i Cinque stelle, tuttavia, l’unica via è quella del partito organizzato. “Le anomalie della piattaforma Rousseau prima o poi dovevano venire al pettine. A me fa sorridere Casaleggio quando dice che i Cinque stelle non sono un partito. Lo sono già e oltretutto si fanno male da soli perché non usufruiscono delle agevolazioni, come il 2 per mille. Sono nati come movimento di protesta, quindi hanno saputo conquistarsi il voto degli scontenti. Da qui ai prossimi due anni devono per forza essere un partito di governo, in un momento in cui con la pandemia saper governare è diventato più importante che passato”.

Lo dimostra la storia recente dei governatori, aggiunge Morlino, “lo dimostra anche il successo di Eugenio Giani in Toscana, che in un altro momento forse avrebbe perduto. La gente è prudente, non vuole correre rischi. È una rivoluzione rispetto agli anni passati. Vedremo se i Cinque stelle riusciranno a reagire subito. Anche Giancarlo Giorgetti, nella Lega, lo ha capito. Ha capito che siamo entrati in una stagione in cui governare è importante. La pandemia è una sfida al governo e una sfida alle chiacchiere, in cui un tempo si poteva manipolare molto. Oggi in una realtà caratterizzata da contagi e morti si può manipolare molto meno. C’è appunto una sola issue che è diventata dominante, quella dei contagi e dei morti. Il tema dell’immigrazione è diventato necessariamente secondario. Il grande vantaggio del Pd è che i Cinque stelle, che pure sono divisi anche tra i ‘governativi’, non hanno alternative se non andare al traino del Pd su alcune politiche principali, innanzi tutto, quelle connesse all’uso dei fondi europei”.

Che stia per iniziare anche per i Cinque stelle l’epoca del 2 per mille?

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