La mossa. I due figuranti Salvini e Meloni si riposizionano, ma la destra resta un’entità senza credibilità

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Il leader leghista dice di volersi spostare al centro, ma visti i suoi precedenti difetta delle basi intellettuali e politiche per fare un simile gioco di prestigio. La numero uno di Fratelli d’Italia ritorna invece da dove è venuta. A nessuno dei due però viene bene il lavoro d’opposizione, e Conte può ignorarli in tutta tranquillità

Mario Lavia, 15.10.2020 linkiesta.it

In questi giorni a destra si sta assistendo a un vero e proprio ribaltone, a un rapido rovesciamento dei ruoli, a un doppio movimento speculare, non sappiamo se concordato o meno: lo sconfitto alle regionali Matteo Salvini fa mostra di voler spostarsi al centro (qualunque cosa voglia dire) mentre la figura che sinora era apparsa più politica, più ragionevole, vale a dire Giorgia Meloni, si è spostata su posizioni estremiste.

Salvini ha teorizzato, senza ridere, una rivoluzione liberale, slogan insufflatogli da un redivivo Marcello Pera, il filosofo autoproclamatosi erede di Popper che circa cinque lustri fa era apparso sulla scena politica per innestare una qualche suggestione liberale sul partito-azienda di Berlusconi.

Ma mentre il Cavaliere fu capace di ruminare tutto ciò che potesse tornargli utile, il capo della Lega difetta proprio delle basi intellettuali e politiche per fare un simile gioco di prestigio mescolando xenofobia e liberalismo, intolleranza e apertura, europeismo e nazionalismo: ed è chiaro quindi che il suo è solo un tentativo di sterzare su posizioni più dialoganti secondo quanto gli dice Giorgetti da un orecchio e Zaia dall’altro.

L’ex ministro dell’Interno infatti da giorni piagnucola invocando una telefonata da Palazzo Chigi per essere coinvolto nelle scelte di questa durissima fase segnata dalla seconda ondata del virus. Naturalmente la cosa gli viene male, perché a questa richiesta egli continua ad associare una serie di attacchi a testa bassa contro quel governo cui chiede di essere preso in considerazione. Pretende insomma di proporre una linea nuova senza cambiare la sostanza della linea vecchia.

Non è chiaro se in conseguenza di questa mossa salviniana – probabilmente sì – Giorgia Meloni è tornata da dove è venuta, cioè nel girone del più tosto estremismo politico di destra, quello gridato, scorretto, irridente.

Quando parla alla Camera è solo per rovesciare sul governo una serie di contumelie («La storia sappia che non siamo stati conniventi con queste idiozie»), non rendendosi conto di fare delle battute penose come quella della chiusura dei bar la sera bollata come misura per sconfiggere la cirrosi epatica.

Intanto sui social si scatena contro tutto e tutti, sempre sopra le righe, dando così ragione a chi sostiene che il suo precedente moderatismo fosse solo un belletto propagandistico pronto a sciogliersi come quello del professor Aschembach in “Morte a Venezia”: la sua indole, la sua vera natura, invece è esattamente quella che stiamo vedendo in queste ore nelle quali infatti ha smesso di chiedere un coinvolgimento nelle scelte di governo (richiesta che come abbiamo visto adesso avanza un non credibile Salvini).

In teoria, lo spazio per una iniziativa politica ci sarebbe. Una destra normale, in questa situazione eccezionale, dovrebbe indossare panni responsabili e nazionali, offrire un aiuto a un governo che certo sbanda spesso e volentieri. Ma neppure sullo scostamento di bilancio – ieri -, cioè una misura necessaria al Paese, la destra ha dato una mano.

Evidentemente la leader di Fratelli d’Italia si accorge di una radicalizzazione degli animi e forse di una crescente insofferenza per il governo Conte e vede confermata questa sua tesi dalla crescita segnalata dai sondaggi.

Rischia però di riportare la sua gente nel ghetto della protesta urlata e delle posture di un tempo andato, in una fase che forse richiederà un inedito bisogno di coesione nazionale. Sarebbe dunque un calcolo sbagliato quello di lucrare sulle immani difficoltà del Paese per guadagnare la medaglia di bronzo sul podio eretto dai sondaggisti, dietro Lega e Partito democratico.

Ma è anche vero che Salvini non ha il fisico del ruolo per lanciare una “offensiva unitaria”: non si cancellano i pieni poteri grazie a una chiacchierata con Marcello Pera. Ecco dunque descritto in poche frasi il cul-de-sac di una destra italiana che continua a commettere un errore dietro l’altro. Non sono questi sovranisti che possono togliere il sonno a un andreottiano come Giuseppe Conte che infatti non li calcola proprio.