Lo sciopero per perdere la faccia

Categoria: Italia

Il pubblico impiego si ferma, ma è il meno colpito dalla crisi. Un errore grave

20.11. 2020 ilfoglio.it

I lavoratori del pubblico impiego non hanno perso un euro delle loro retribuzioni, non rischiano di restare senza lavoro e, in molti casi, grazie al lavoro da casa, hanno anche un’attività meno controllabile e meno intensa. Gli altri lavoratori, i dipendenti delle aziende messe in ginocchio dalla crisi e gli autonomi, vivono una condizione terribile, hanno subìto licenziamenti, non hanno prospettive, quando va bene ricevono, o riceveranno chissà quando, la cassa integrazione, con una sostanziale riduzione retributiva.

È evidente che in questa situazione convocare uno sciopero dei dipendenti del pubblico impiego per il rinnovo contrattuale, cioè per rivendicazioni essenzialmente salariali, appare come un’ingiustizia. È vero che i contratti pubblici sono in ritardo di un paio d’anni, ma questa in realtà non è una novità: quello precedente fu rinnovato dopo otto anni di carenza. Si ha l’impressione che i sindacati puntino soltanto a usare i vantaggi di una situazione particolare, per garantire i più garantiti senza preoccuparsi degli altri.

Si tratta di un errore grave, che fa sembrare le rappresentanze sindacali come profittatori delle difficoltà, invece che come strumenti di espressione dell’interesse complessivo dei lavoratori e della loro solidarietà interna. Non è solo l’immagine dei sindacati di categoria, e ancora più delle confederazioni, a subire un colpo assai pesante per effetto di questa scelta egoistica e irresponsabile. Anche la loro presa sull’insieme dei lavoratori, che sentono l’ingiustizia e persino l’immoralità di questa scelta, è destinata a calare ancora. Con che faccia si potrà chiedere ancora di mobilitarsi in solidarietà con altri quando si è negato così palesemente il più basilare dei princìpi di equità? Invece di chiedere al governo di ripensarci in extremis, le confederazioni dovrebbero disconoscere questo insensato sciopero di categorie privilegiate: non lo faranno e saranno anch’esse responsabili di fronte ai lavoratori che soffrono così pesantemente della crisi sanitaria.