ALLA FINE SALVINI E LA MELONI SONO STATI COSTRETTI A VOTARE SÌ ALLO SCOSTAMENTO DI BILANCIO

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PER NON PERDERE LA FACCIA E DOVERSI GIUSTIFICARE DAVANTI A PROFESSIONISTI E IMPRESE – LA TRAMA DEL PONTIERE GIORGETTI CHE HA CONVINTO IL CAPITONE (SUO MALGRADO)

Federica Fantozzi per www.huffingtonpost.it lett.6’

Alla fine, sono le facce a raccontare tutto. Quella di Matteo Salvini che, nervoso e frettoloso, batte sul tasto dell’“unità del centrodestra” per parlare del futuro anziché del presente, per rilanciare le sue prossime battaglie: il tavolo con la maggioranza su scuola e fisco, e la lotta alle modifiche dei Decreti Sicurezza, dove “sono sicuro che porteremo la nostra compattezza, con FdI e Fi faremo muro”.

Nella sua testa echeggiano ancora le parole di Giancarlo Giorgetti: “Questo è il momento della responsabilità, di fare politica”. Non di rompere, insomma, anche a costo di cambiare idea.

Quella di Giorgia Meloni, la più disinvolta nell’argomentare che il sì allo scostamento è una vittoria non di Silvio Berlusconi bensì dell’intero centrodestra che ha convinto il governo a dire come spenderanno i soldi, e “stavolta non abbiamo votato a scatola chiusa”.

Quella di Antonio Tajani, un po’ imbarazzata, mentre argomenta che quando Berlusconi al mattino in collegamento con il suo gruppo parlamentare ha annunciato il voto favorevole “evidentemente si era sentito con Matteo e Giorgia...”. E ribadisce che “collaborazione istituzionale non significa sostegno al governo”.

La conferenza stampa dei leader del centrodestra al Senato comincia con quasi un’ora di ritardo, mentre intorno tutto si è già consumato. A Montecitorio, lo scostamento è appena passato con 552 sì, compresi quelli di tutto il centrodestra. Nonostante il contemporaneo parere negativo del governo sulla risoluzione di Fi, Lega e FdI.

Non avrebbe potuto andare diversamente, perché l’asticella fissata da Salvini e Meloni, rispetto a quella degli azzurri, era troppo alta e irricevibile, come il Tesoro aveva già messo in chiaro e come era già emerso durante la riunione degli sherpa economici dei tre partiti.

Ma è uno “sgarbo”, se non altro di forma, che irrita molto la destra: “Potevano trovare un modo per recepire qualcosa, magari andare al voto per parti separate”. Nei meloniani l’impressione che i giallorossi “si siano scelti l’interlocutore” per spaccarli è forte. E che ci riproveranno. La partita, insomma, si sposta sulla legge di bilancio, sulle misure vere e proprie e sui capitoli di spesa importanti. Dove Meloni ha avvisato: “Vigileremo, non ci faremo turlupinare”.

L’accelerazione di Berlusconi

La mossa in avanti di Berlusconi, maturata ieri quasi a mezzanotte – grazie all’apertura sul sostegno agli autonomi “non garantiti” e sul rinvio delle scadenze fiscali del ministro Gualtieri e al pressing inesausto dei “dialoganti” guidati da Gianni Letta e Renato Brunetta - mette in subbuglio gli alleati e agita Forza Italia, sempre più spaccata tra “governisti” e “sovranisti”.

Fatto sta che stamattina, prima delle nove, l’ex premier ha telefonato in diretta al suo gruppo riunito a Montecitorio, dove la seduta stava per cominciare: “Forza Italia vota a favore – ha detto con decisione – Gli altri decideranno cosa fare, ma auspico che ci seguiranno e che il centrodestra sarà unito”. Un’accelerazione rispetto allo status quo della sera precedente, quando prevaleva l’idea di aspettare la risposta del governo. Certo, il voto contrario era già escluso, ma si pattinava tra astensione e sì, con l’obiettivo anche tattico di tenere la maggioranza sulla corda.

E invece l’ex premier ha colto di sorpresa il suo stesso partito, dove il gruppo guidato da Mariastella Gelmini era propenso al voto favorevole, mentre al Senato la preoccupazione di spaccare la coalizione è avvertita in modo netto. Spiazzati anche i gruppi leghisti e meloniani, che dopo avere inviato la mozione comune alla maggioranza attendevano che fosse questa a battere un colpo.

Lo spaesamento in aula

I tempi sono strettissimi. Poco dopo, alle dieci, comincia la seduta, in un clima surreale in cui i deputati non sanno bene come andrà a finire. Il vicecapogruppo di FdI Tommaso Foti fa un discorso da opposizione dura: “Il nostro giudizio è negativo, il divide et impera non vi porterà da nessuna parte”.

Rivendica la rappresentanza dei “non garantiti” - gli istruttori di palestre rispetto ai prof di educazione fisica, le guide turistiche rispetto ai dipendenti di museo - per non lasciare la bandiera (e il successo) nelle mani di Forza Italia. Sottolinea: “Questa opposizione ha stile di maggioranza perché privilegia l’Italia, valutiamo quale apertura di credito dare alla maggioranza per fare uscire l’Italia dalle secche.

Il nostro voto non è ispirato a secondi fini, la stella polare di FdI è il Paese”. Praticamente una dichiarazione implicita di voto favorevole, senza però legarsi le mani.

Quando tocca a Renato Brunetta, il responsabile economico azzurro è raggiante: “Si sta aprendo una fase nuova di ascolto e condivisione sul fisco, sulle partite Iva, sul reddito di ripartenza, sul grande senso di responsabilità di Berlusconi”. E’ grazie a lui, in sostanza, che il governo si appresta a ridurre “la tragica frattura tra garantiti e non garantiti”. Certo, “sono misure costose, ma servono per tenere in piedi il Paese”.

Conclude un intervento che sembra un’arringa: “Spero in un sì unanime del centrodestra unito, altrimenti si direbbe no all’ossigeno per il Paese”. Mette le mani avanti, poiché già si parla di un prossimo scostamento a gennaio: “Noi ci saremo sempre per votare risorse. Da noi verrà un sì alla coesione come chiede il presidente della Repubblica Mattarella”.

E pazienza se il suo discorso, e il suo ruolo di “tessitore del dialogo” non sono graditi a tutti nelle file alleate: La Russa lo accusa apertamente di “intralciare l’unità del centrodestra” con un sì annunciato prematuramente, e chissà a chi si riferisce Salvini quando evoca “quinte colonne”.

A quel punto, il boccino è in mano alla Lega. Ha il ruolo più ingrato, sono quelli rimasti a bocca asciutta: volevano l’azzeramento dell’Iva al 4% sui beni primari, il taglio dell’aliquota al 22%, la sostituzione dell’Irap con l’Ires per le imprese, persino misure sulle pensioni come lo stop al blocco delle rivalutazioni automatiche.

Provvedimenti troppo costosi per il governo, ma i leghisti masticano amaro: “Gualtieri ha 100 miliardi e se li spende in solitaria – mugugnano – A noi resta una mancia”. In aula prende la parola Massimo Garavaglia: “Se tra un mese fate un nuovo scostamento sarebbe un falso in bilancio”. Oggi però “la Lega c’è, ma chiede al governo rispetto e trasparenza sui dati”.

Fine dei giochi. E della suspense. Le letture si accavallano, ma la partita è finita. Esultano i “governisti”. Per Gelmini è “uno scatto in avanti”, per Osvaldo Napoli “cambiano le prospettive tra maggioranza e opposizione, ma niente federazione”, per Debora Bergamini Fi è “determinante”.

Berlusconi – a modo suo – ha rispettato i paletti: la posizione del centrodestra è unitaria. Ha portato il centrodestra sulle sue posizioni (come rileva con una certa malizia Franceschini), ne ha mantenuto l’unità (grazie anche, per l’ennesima volta, alla prontezza e alle doti di mediazione della Meloni), ha “ascoltato” gli appelli del Quirinale. E’ una vittoria politica che sposta il baricentro dell’opposizione sulla “collaborazione istituzionale”. Se durerà, e a che prezzo, lo si vedrà presto. Venerdì arriverà in Parlamento la riforma dei Decreti Sicurezza. E Salvini ha promesso ai suoi che non accetterà sconti.

 

La mediazione di Giorgetti

Tra la notte e l’alba, sono diversi i pontieri al lavoro nei partiti. Forza Italia ha il problema di non apparire arrogante, di ricucire con gli alleati prima che la mossa di Berlusconi diventi uno strappo conclamato. Tajani e Licia Ronzulli smussano i toni, al punto che una nota ufficiale di Fi smentisce la frase dell’ex premier “gli altri facciano come vogliono”. Troppo urticante.

In casa della Lega, è Giancarlo Giorgetti ad assumersi il ruolo di placare Salvini: “Questo è il momento della responsabilità – ragiona con lui – E’ il momento di fare politica”. Non di rompere, insomma. Non è l’unico nel Carroccio a pensarla così. Giorgetti ricorda a “Matteo” quando Bossi ne diceva di tutti i colori su Berlusconi: “E poi ci ha fatto il governo insieme. In politica si cambia idea”. E il Capitano, persuaso anche dalla Meloni (che insiste: è una manovra della maggioranza per dividerci, non caschiamoci) gli dà retta.