La mezza sommossa dei parlamentari del Pd s'abbatte sul Natale

Categoria: Italia

La telefonata furibonda tra Marcucci e Franceschini, col capodelegazione deciso a mantenere la linea del rigore. Anche Delrio trattiene a stento l'insofferenza verso i tentennamenti di Conte.

Dietro la protesta dei gruppi dem per la stretta natalizia c'è un clima di scollamento e disillusione. Zingaretti media, e fa asse col ministro della Cultura

VALERIO VALENTINI 03.12. 2020 ilfoglio.it lettura4’

Lo scontro tra Marcucci e Franceschini spinge i senatori in difesa del loro presidente. E anche alla Camera i deputati insorgono. C'è di mezzo il divieto di spostamento tra comuni, ma anche la politica. La rabbia dem contro Conte. Ma Palazzo Chigi e il Nazareno non indietreggiano

Igruppi parlamentari del Pd pressano. Il governo, e il Nazareno, non indietreggiano. E' una questione di merito, certo. Perché impedire gli spostamenti tra comuni, in quelle zone d'Italia (e sono tante) dove tra un municipio e l'altro ci sono appena una manciata di chilometri e qualche migliaio, se non centinaio, di persone, appare in effetti discutibile. Per alcuni perfino discriminatorio. E poi lascerebbe alla destra di Salvini e Meloni la comoda possibilità per ergersi a difensori dei diritti violati dello Strapaese, di quell'Italia di provincia lontana dalle grandi città. E però, se 25 senatori e altrettanti deputati hanno deciso di partecipare a una mezza sommossa interna, non è solo per questioni di metodo. C'è che dietro c'è anche la voglia, da parte di un'ampia componente dei gruppi dem, di ottenere maggiore ascolto e considerazione dal governo: da Giuseppe Conte e anche da Dario Franceschini, che del partito è il capodelegazione nell'esecutivo.

Era stato proprio lui, fedele predicatore della linea del rigore, a litigare a telefono con Andrea Marcucci, il capogruppo del Pd al Senato, mercoledì. Un dialogo concitato. Urla che erano riusonate fin nel corridoio dei busti di Palazzo Madama. Franceschini, per tutta risposta, aveva liquidato le proteste del compagno di partito come quelle di chi agita una polemica isolata, ribadendo la propria piena condivisione dell'approccio seguito dal ministro Roberto Speranza. E a quel punto la reazione è stata inevitabile. E si è concretizzata sotto forma di petizione per condividere l'istanza di Marcucci e investirlo formalmente del mandato di chiedere al governo di valutare la modifica del decreto natalizio, al fine di consentire i ricongiungimenti famigliari anche tra comuni diversi nelle giornate del 24 e del 26 dicembre, oltreché del 1 gennaio. Una mezza sommossa, organizzata da Alessandro Alfieri, che nel giro di poche ore ha raccolto 25 firme. Non poche, se è vero che, a parte lo stesso Marcucci, restano solo nove esponenti dem a Palazzo Madama. E tra questi, ce ne sono tre - Valeria Malpezzi, Salvatore Margiotta ed Antonio Misiani - esentati dalla sottoscrizione in quanto membri del governo. In sostanza, a non firmare sono stati, oltre all'orlandiana Anna Rossomando e a Paola Boldrini, proprio i tre franceschiniani di Area Dem, e cioè Bruno Astorre, Franco Mirabelli e Roberta Pinotti. "Certo - sorridono al Nazareno - Marcucci pesca facile, nelle liste che vennero fatte a suo tempo da Matteo Renzi". E però il segnale è chiaro. Ha a che vedere con la difesa d'ufficio del capogruppo, già messo sulla graticola dopo la sua richiesta formale di rimpasto fatta a Giuseppe Conte nell'Aula del Senato a fine ottobre. Ma non solo.

E infatti, quasi in contemporanea, parte la conta anche a Montecitorio. Qui il più attivo, nella raccolta delle firme, è Andrea Romano. E anche qui, nel giro d'un paio d'ore le sottoscrizioni sono 25. La richiesta, inoltrata a Graziano Delrio, è analoga a quella avanzata dai colleghi senatori. Anche in questo caso s'invita il capogruppo ad attivarsi per allentare la stretta tra comuni nei giorni festivi a cavallo tra Natale e Capodanno. E anche in questo caso, un certo malumore si registra anche tra i componenti del sottogoverno, se è vero che in mattinata la prima a esprimere le proprie perplessità sul decreto in gestazione, proprio a Franceschini, era stata Alessia Morani.

L'irritazione sta nel fatto che la stessa richiesta di valutare delle deroghe al divieto di spostamento per i piccoli comuni era stata avanzata due giorni fa dai capigruppo del Pd martedì scorso, durante una riunione che li aveva visti in collegamento su Zoom per quasi quattro ore insieme al premier Conte. Salvo poi ritrovarsi a leggere delle bozze del decreto che escludevano del tutto questa ipotesi.

E poi, più in generale, c'è insofferenza per i troppi tentennamenti del governo: sulla gestione della pandemia e ancor più sul piano per la gestione dei progetti del Recovery fund. Oltreché sul Mes. Insomma, uno stalle generale. E non a caso Delrio e Marcucci, al termine dell'ennesima inconcludente vertice di maggioranza sulle riforme da varare nella seconda parte della legislatura, vergano una nota al veleno: "Il Pd attende da più di un anno il rispetto delle intese nella maggioranza sulle riforme costituzionali e sulla legge elettorale. Ancora oggi non sono stati compiuti passi avanti. Siamo stati sempre disponibili e pazienti ma inutilmente Ora i nodi vanno sciolti rapidamente. La responsabilità della sintesi spetta a Conte che guida la coalizione".

Come che sia, almeno sulla questione degli spostamenti, il governo non sembra intenzionato a ripensare le sue scelte. E anzi, da Palazzo Chigi trapela la ferma volontà di mantenere il divieto di spostamento tra comuni. Una linea del rigore condivisa anche dallo stesso Nicola Zingaretti, che affida a un tweet la sua convinzione: "In 24 ore quasi 1000 persone sono morte a causa del Covid. Negli ultimi 15 giorni oltre 10.000. Rifletta chi non capisce quanto è importante tenere alta l'attenzione con regole rigorose per sconfiggere la pandemia. Combattiamo insieme e uniti. Il nemico è il virus, non le regole"