L'imbarazzo di Conte e Di Maio per l'amico Trump. Donald, chi era costui?

Categoria: Italia

Le telefonate pressanti del Pd al ministro degli Esteri: "Devi dire qualcosa su quello che sta succedendo in America". I tentennamenti e le omissioni di Di Maio mentre Conte copia le parole del presidente spagnolo

SALVATORE MERLO 08.1\. 2021 ilfoglio.it lettura3’

Il tizio vestito da sciamano, o da vichingo (vai a sapere), s’era appena seduto sullo scranno del presidente del Congresso americano che già la prima telefonata del Pd raggiunge Luigi DiMaio alla Farnesina: “Oh, ma hai visto? Che intendi dire?”. Silenzio. Intanto alle 21.01 il putsch grottesco di Washington comincia a tingersi di dramma. Forse c’è un morto. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti (sono le 21.12) rilascia una dichiarazione di biasimo per Trump. I lacrimogeni avvolgono la collina del Campidoglio. Seguono diversi deputati, parla Enrico Letta, parla l’ex ministro Madia. Intanto Di Maio fa sapere attraverso le agenzie che “rimaniamo concentrati sulle cose reali, che interessano agli italiani”. Ed ecco allora la seconda telefonata, questa da un membro della segreteria del Pd. Pressante. “Guarda che qualcosa la devi dire”. Niente.   Si fanno le 21 e 46. Persino Matteo Salvini, quello che fino a ieri indossava la mascherina con scritto “Go Donald Go” ha twittato: “No alla violenza”. E Giggino? E il ministro degli Esteri? Boh. Terza telefonata: “Devi fare una dichiarazione, subito”. Certo che la deve fare. Lo sa. E’ proprio questo il problema. Forse ci sta pensando da ore, come Totò con la lettera di Peppino. Scrive due righe e le cancella. Stavolta però il problema non è il congiuntivo. Il fatto è che c’è imbarazzo in tutto l’ex governo gialloverde, che s’era tinto di trumpismo. C’è imbarazzo tra i ministri grillini. E l’imbarazzo di Di Maio è lo stesso che prova Giuseppe Conte, già noto alla Casa Bianca come Giuseppi sin dai tempi in cui disse che “io e Trump rappresentiamo il governo del cambiamento”.

E d’altra parte a Palazzo Chigi, nell’ufficio vicino a quello del presidente del Consiglio, il portavoce Rocco Casalino esibisce da due anni sulla scrivania una foto scattata con Trump. Si sorridono, nella foto. E Rocco quando parla con gli altri dell’ormai quasi ex presidente americano lascia scivolare un confidenziale “Donald”. Malgrado dicano che già stamattina quell’immaginetta di “Donald” sia scomparsa. Sparita. Chissà. “Forse ora metterà l’altra, quella con la Merkel”, dice un suo collaboratore spiritoso. E insomma adesso che Trump è sempre più un’escrescenza da espellere; non più un padrone del mondo ma uno scandalo per la grammatica democratica, ciascuno recupera la distanza. Così la prima cosa che ieri mattina hanno fatto sia Conte sia Di Maio, per primi in Italia, rapidissimi stavolta, è stato congratularsi con il presidente eletto Joe Biden. Ma questo accadeva ieri. A giochi fatti. A scena chiusa. Con il Congresso che aveva ristabilito l’ordine costituzionale. Addirittura oggi Di Maio dirà che Trump è all’incirca una minaccia deambulante per il mondo libero. Ma nella notte tra mercoledì e giovedì, quando il presidente furioso chiamava e otteneva l’assalto al Parlamento di Washington, il sentimento prevalente sia alla Farnesina sia a Palazzo Chigi era lo smarrimento. E ora che diciamo? Occhi a palla. Sguardi remoti, cosmici, quasi tibetani.

Infatti solo alle 22 e 56, buon ultimo, dopo l’arrivo della guardia nazionale al Congresso, ecco che l’insistenza del Pd faceva breccia sul ministro degli Esteri, e Di Maio finalmente rilasciava una dichiarazione. Poco prima si era liberato anche Conte. Esattamente quattordici minuti prima, alle 22 e 42. Due dichiarazioni capolavoro. Duecentoottantaquattro caratteri, quarantaquattro parole generiche. Con due fondamentali assenze. Né Di Maio né Conte citavano infatti Biden o Trump. In pratica: sospesi nel tempo e nello spazio. Sicché a rileggerle, le due dichiarazioni, le si potrebbe indifferentemente attribuire all’omicidio Kennedy del 1963, all’uccisione di Martin Luther King del 1968 o alla guerra d’indipendenza del 1775. Con un dettaglio geniale, del solo presidente del Consiglio. La dichiarazione di Conte delle 22 e 42 è infatti la traduzione letterale delle parole usate un’ora prima dal presidente spagnolo Sanchez. Leggete e paragonate. Questo è Pedro Sanchez alle 21.39: “Sigo con preocupacìon las noticias que illegan desde el Capitolio en Washington. Confiò en la fortaleza de la democracia americana…”. Ed ecco Conte alle 22.42: “Seguo con preoccupazione quanto sta accadendo a Washington… Confido nella solidità e nella forza delle istituzioni americane”. Google translate. Solo che Sanchez dichiarava di confidare anche in Biden. Conte questo non lo ha tradotto.