Caro Barca, le diseguaglianze non c'entrano con i fascio-vichinghi

Categoria: Italia

Trump: non vado all’insediamento del nuovo governo. Conte: io sì, spero

Le lettere al direttore 9.1.2021 ilfoglio.it

Al direttore - Trump: non vado all’insediamento del nuovo governo. Conte: io sì, spero.

Giuseppe De Filippi

Al direttore - Autorevoli intellettuali di sinistra hanno letto l’assalto di un manipolo di fascionazisti al Congresso americano come l’espressione del risentimento popolare contro una democrazia fragile, che fabbrica diseguaglianze e ingiustizia sociale. Niente di nuovo sotto il sole. Vent’anni fa, altri autorevoli intellettuali di sinistra si domandarono se l’attacco terroristico alle Torri gemelle non fosse la conseguenza dell’aumento della povertà su scala planetaria. Nessuna meraviglia, dunque. Del resto, da noi ci sono sempre stati intellettuali talmente di sinistra per i quali la sinistra che c’è non è mai la “loro” sinistra. Hanno speso una vita a demolire il craxismo, il berlusconismo, il prodismo, il renzismo. Hanno firmato libelli trasudanti indignazione per l’eterna vocazione autoritaria, compromissoria, subalterna, trasformistica, premoderna, delle italiche classi dirigenti. La domenica predicano nuovi modelli di sviluppo, naturalmente alternativi a un capitalismo cieco e disumano. Nei giorni feriali spiegano che tra democrazia e mercato esiste una contraddizione insanabile. Nelle ore notturne sognano le grandi utopie: dalla liberazione dal lavoro alla kantiana pace perpetua. Poco prima della sua morte, Eric Hobsbawm descriveva con una punta di nostalgia il declino di una delle figure centrali del Novecento, fosse al servizio delle élite dominanti, organico a un partito, un cane sciolto. Ma l’intellettuale è sempre stato una bestia strana. Secondo Luciano Bianciardi, insofferente a ogni establishment culturale, il suo mestiere era indefinibile. Può darsi, ma sicuramente non dovrebbe essere quello dell’acrobata nel circo equestre delle idee.

Michele Magno

Per dire: uno dei fascio-vichinghi ripresi dalle televisioni di tutto il mondo, quello vestito con pelli di animale e con giubbotto antiproiettile, non è figlio del degrado, non è figlio delle periferie, non è figlio della diseguaglianza, ma è il figlio di un assai benestante giudice della Corte suprema di Brooklyn. Da Capitol Hill è tutto, a voi Barca.

  

Al direttore - D’accordo, non saranno fulmini di guerra (ma chi siamo noi per giudicarli?) però, dai, bisogna riconoscere con tutta onestà che di questo passo almeno una cosa il “governo del cambiamento” cosiddetto da Giuseppi riuscirà a cambiarla: il governo. Vuoi mettere?

Luca Del Pozzo

  

Al direttore - Caro Cerasa, lei ha giustamente scritto che “la scuola non è a rischio zero ma è pur sempre un rischio per il quale vale la pena di rischiare qualcosa”. Da quando è iniziato l’assurdo balletto chiusure/aperture/chiusure mi sono posto una domanda, da profano, a cui non ho mai trovato risposta. Le scuole dei vari ordini e gradi sono normalmente collocate in plessi diversi; ognuno ha il suo personale docente e amministrativo. Perché allora vi sono tante difficoltà a sparigliare nettamente gli orari di ingresso e di uscita (ad esempio, le primarie al mattino, le secondarie al pomeriggio), magari riducendo a 45-50 minuti l’ora di docenza in presenza? In questo modo si ridurrebbero anche gli spostamenti sui mezzi pubblici nelle fasce orarie più critiche.

Giuliano Cazzola

E’ una scelta che le scuole possono fare e le scuole guidate da presidi intelligenti (che Dio li benedica) lo fanno già. Il tema non è dunque chiedersi se si possa fare o no ma è chiedersi perché vi siano scuole guidate da presidi incapaci di prendere anche le decisioni più semplici. Quando si tratta di scuola, occorrerebbe urlarlo a squarciagola: almeno qui, lunga vita agli uomini e alle donne soli al comando.

Al direttore - Non so se Biden presidente riuscirà a ricucire il paese, visto che dovrà anche ricucire i propri elettori democratici, che vanno dagli odiatori di Lincoln e Colombo ai cattolici (anch’essi divisi come scritto da Matteo Matzuzzi) per i quali il tema dell’aborto non è più decisivo per il voto, e senza dimenticare i “berniesanderisti” e i liberal di Hollywood. I repubblicani dovranno invece trovare un candidato alla Ronald Reagan, a dream, ma di solito in America i sogni si realizzano.

Daniel Mansour