VERSO LA GRANDE CONTA DI LUNEDÌ E MARTEDÌ

La maggioranza della riconciliazione: un'alternativa necessaria. Il pallottoliere del Senato, i fili con Renzi, il Cav. e tutti i rischi di un governo che sostituisce la stabilità con la staticità

CLAUDIO CERASA 16.1, 2021 ilfoglio.it lettura5’

“Si va avanti con i responsabili e poi – ci raccontano due ministri del Pd, sotto la garanzia dell’anonimato – dopo la nuova maggioranza si proverà a riallargare, provando a riportare dentro di nuovo Renzi e provando a costruire magari un patto anche con Forza Italia”. Riconciliare per non vivacchiare: il futuro dell’Italia, Renzi o non Renzi, forse passa ancora da qui

Che differenza c’è tra stabilità e staticità? Una volta messa da parte la rabbia, una volta messa da parte la stizza, una volta messa da parte la polemica, una volta messa da parte la spregiudicatezza, una volta messa da parte la collera, arriverà forse un momento in cui i protagonisti di questa pazza e allegra crisi di governo si renderanno conto che, responsabili o non responsabili, per provare a governare e non a vivacchiare ci sono poche alternative in questa legislatura alla maggioranza della riconciliazione.

Riconciliare non significa intendere l’appello per la ricostruzione dell’Italia solo nella logica della costruzione di un nuovo gruppo parlamentare ma significa al contrario provare a capire fino all’ultimo istante quale sia, in questa stagione politica, la maggioranza più larga possibile che il Parlamento è in grado di esprimere per provare a dare al nostro paese un futuro decoroso.

Non sarà semplice farlo, non sarà facile una ricomposizione, non sarà agevole convincere i protagonisti del grande litigio a fare due passi indietro per provare a farne uno in avanti (dalla mossa del cavallo a quella del caciocavallo il passo è breve) ma al di là di quello che ci dicono i numeri e al di là di quelle che sono le alchimie parlamentari una maggioranza senza motorino, che si regge su qualche voto raccolto qua e là in Senato, rischia di essere inevitabilmente una maggioranza destinata a sostituire la ricerca della stabilità con la ricerca della staticità.

E in un modo o in un altro, dunque, prima o dopo il redde rationem del Senato, è difficile pensare che il percorso europeista di questa legislatura possa prescindere da un dato di necessità: fare di questa maggioranza un polo di attrazione per tutte le forze europeiste. E così, un secondo dopo il voto di lunedì alla Camera e martedì al Senato, per Giuseppe Conte, per Nicola Zingaretti, per Luigi Di Maio e per Roberto Speranza la domanda a cui varrà la pena rispondere è: può davvero essere il vaffa a Renzi e a Salvini il nuovo grande collante di una maggioranza che ha il compito di gettare le basi dei prossimi sette anni dell’Italia?

Può darsi che la risposta sia sì e che lo schiaffo molto potente che Renzi ha rivolto a Giuseppe Conte – e di cui forse Renzi si è già un po’ pentito, a giudicare dalle parole del suo capogruppo al Senato, Davide Faraone: “Se Conte scioglie alcuni nodi, Italia viva c’è. E se il governo vuole parlare di merito, Italia viva è pronta a fare la propria parte nell’interesse del paese”, il tutto appena due giorni dopo aver definito Conte un pericolo per la democrazia – sia definitivo. Ma può darsi invece che da qui ai prossimi giorni qualcosa possa ancora accadere e che la riconciliazione possa essere qualcosa di più di una semplice e giocosa utopia. Tutto dipenderà, naturalmente, dalla volontà della nascente maggioranza di non voler chiudere una fase di instabilità aprendone un’altra ancora più instabile (anche se le vie della responsabilità sono sempre infinite e a volte meno instabili di quanto si crede: chiedere a Renzi che ha governato per mille giorni con i responsabili di Ala). E tutto dipenderà, naturalmente, anche da quelli che saranno i numeri che verranno registrati martedì al Senato (Renzi ha annunciato che il suo gruppo si asterrà, anche per evitare fuoriuscite). Già, ma i numeri che dicono?

Ieri pomeriggio abbiamo chiamato un nostro caro amico al Senato, uno che i senatori li conosce uno per uno, e non da questa legislatura, e abbiamo fatto, con lui che si trova lontano dal perimetro di governo, un po’ di calcoli per capire che futuro può avere una maggioranza senza Italia viva. I numeri dicono questo. A Palazzo Madama, i senatori del M5s sono 92 e quelli del Partito democratico sono 35. In tutto, fanno 127. Per avvicinarsi a quota 161 (che è la maggioranza assoluta, anche se in realtà nei voti di fiducia è sufficiente avere la maggioranza relativa, che ovviamente si abbassa in caso di assenze e di astensioni e se i 18 senatori di IV dovessero astenersi a Conte basterebbero anche poco più di 151 voti per non essere sfiduciato) restano dunque da trovare 34 senatori. Sei senatori da aggiungere sono quelli di Leu che si trovano nel gruppo misto (De Petris, Errani, Fattori, Grasso, Laforgia, Nugnes). Otto sono quelli che si trovano nelle Autonomie (tra questi c’è la senatrice a vita Elena Cattaneo, che partecipa spesso alle votazioni, e tra questi invece non è compreso il senatore a vita Giorgio Napolitano, che per ragioni di salute non partecipa da tempo ai lavori in Aula). Ne restano altri venti da trovare. Da dove si possono pescare?

Il nostro Caronte, che maneggia una lista che gira da qualche ora a Palazzo Madama, suggerisce di osservare il gruppo misto e la lista prevede i seguenti nomi “sicuri”: Buccarella, Cario, Ciampolillo, De Bonis, Di Marzio, Fantetti, Lonardo, Merlo, Monti, Ruotolo, Segre, Rubbia. Dunque dodici senatori del Gruppo misto considerati “certi” senza contare i due in forse (De Falco e Pacifico). Dodici, più 9, più 6, più 35, più 92 fa 154. Il tutto senza considerare ovviamente le possibili defezioni nel centrodestra (e anche dello stesso gruppo di Renzi). E il tutto con quattro giorni di tempo per salire ancora come numeri. “Non saranno però i numeri di lunedì quelli a cui guardare per il proseguio della legislatura”, ha detto con saggezza ieri il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, nel corso dell’assemblea dei deputati del Pd, ed è possibile che in queste ore il Pd stia capendo che un minuto dopo la lezione che la maggioranza proverà a dare a Renzi tra lunedì e martedì, dando il via a un nuovo governo con numeri nuovi ed equilibri nuovi a cui sembrano credere molto non solo i mercati ma anche la Cei, occorrerà fare di tutto per aiutare l’Italia a non passare dallo status di stabilità precaria (denunciato ieri anche dal segretario del Pd Nicola Zingaretti) allo status di staticità permanente (come rischierebbe di diventare una maggioranza interessata a trasformare l’europeismo in un sinonimo di bancomat).

“Si va avanti con i responsabili e poi – ci raccontano due ministri del Pd, sotto la garanzia dell’anonimato – dopo la nuova maggioranza si proverà a riallargare, provando a riportare dentro di nuovo Renzi e provando a costruire magari un patto anche con Forza Italia”. Riconciliare per non vivacchiare: il futuro dell’Italia, Renzi o non Renzi, forse passa ancora da qui.

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