Come preparare una generazione di lavoratori, non di sussidiati

Categoria: Italia

Investire di più in conoscenza e competenze e meno in reddito di cittadinanza. Tre idee per restituire dinamismo e opportunità alle giovani generazioni

DARIO ODIFREDDI 15.2. 2021 ilfoglio.it  lettura4’

Conosciamo a memoria i nodi i che rendono poco competitivo il nostro paese. Problemi strutturali, non generati, ma aggravati dalle due gravi crisi del 2008 e della pandemia. Tra questi quelli legati al sistema educativo e alla transizione al lavoro sono tra i più rilevanti, il tasso di occupazione, soprattutto quello femminile, è tra i più bassi dell’Ocse, la disoccupazione giovanile è ai massimi, i talenti migliori cercano fortuna all’estero, la natalità è ai minimi storici, i posti di lavoro che andranno persi nel prossimo futuro sono stimati in circa un milione, la produttività non cresce da decenni e le diseguaglianze e la povertà crescono.

Il 23,4 per cento dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora, i 2/3 dei bambini con genitori senza istruzione superiore restano allo stesso livello e solo il 62,2 per cento delle persone tra i 25 e i 64 anni in Italia ha almeno un titolo di studio di livello secondario, la quota di popolazione con titolo di studio terziario continua a essere molto bassa: il 19,6 per cento. Solo il 41 per cento degli adulti partecipa ad attività di formazione, il 47 per cento degli italiani è analfabeta funzionale, cioè è incapace di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle varie circostanze della vita quotidiana. In un paese che deve affrontare le sfide della transizione tecnologia e della sostenibilità ambientale e sociale ci vuole il coraggio di nuove politiche che ridiano slancio al nostro sistema economico; investire sulla persona è la priorità che dobbiamo avere usando parte delle risorse di Next Generation Eu in questa direzione. Si può partire da tre proposte.

La prima è il rafforzamento degli Its (formazione terziaria non accademica) che hanno dimostrato con tassi di occupazione superiori all’80 per cento di essere uno strumento decisivo per affrontare la sfida di una transizione che distruggerà posti di lavoro, ma al contempo ne creerà di nuovi che necessitano di competenze adeguate. La proposta è di uno stanziamento di almeno 1 miliardo di euro da suddividere in 5 anni dedicando il 30 per cento al potenziamento delle strutture delle oltre 100 Fondazioni esistenti e il 70 per cento al potenziamento dell’offerta formativa. La parte dedicata alle strutture dovrà essere decrescente, mentre quella dell’attività diretta verso i beneficiari finali (gli allievi) deve avere una logica crescente. La seconda è il rafforzamento del sistema di istruzione e formazione professionale, sempre assente dal dibattito quando si parla di scuola. L’istruzione professionale dei giovani adolescenti tra i 14 e i 18 anni è decisiva per evitare la dispersione e la marginalizzazione sociale, soprattutto nel sud del paese. Proprio in queste aree l’offerta è molto debole o inesistente. Occorre invece rafforzare l’infrastruttura formativa o, in alcune regioni, crearla quasi da zero. L’obiettivo è dare vita a quella rete di enti formativi, aziende, terzo settore, che è alla base del successo di molti paesi in cui i tassi di disoccupazione giovanile e il mismatch tra domanda e offerta di lavoro sono assai più contenuti. Questa è tra l’altro la strada maestra per la lotta alla dispersione scolastica come si è già dimostrato in quelle poche regioni in cui il sistema funziona da diversi anni. La terza proposta è il potenziamento del modello duale, quello in cui si conseguono diplomi e qualifiche unendo istruzione e formazione sul posto di lavoro. Per farlo serve valorizzare l’apprendistato formativo di primo livello con uno stanziamento di 2 miliardi di euro. Questa è la strada per ridurre i lunghissimi tempi di transizione tra sistema educativo e lavoro che caratterizzano il nostro paese.

Queste tre azioni congiunte hanno il potenziale di restituire dinamismo e opportunità alle giovani generazioni, generando nei territori un sistema articolato di hub di competenze, ispirato al modello del Fraunhofer tedesco nel campo della ricerca, che sappia valorizzare le buone prassi già presenti in Italia diffondendole su tutto il territorio nazionale dando così vita a un vero sistema formativo. Siamo su una bomba a orologeria: abbiamo pochi giovani a cui offriamo poche opportunità, e non investiamo su di loro. L’Italia non è più un paese per giovani. Siamo di fronte a una sfida che chiede a tutti (imprenditori, agenzie educative, politici, intellettuali, singole persone), di mettersi in gioco per non rompere definitivamente quel patto intergenerazionale che non solo è alla base dell’equità sociale, ma che è iscritto in ogni cuore non rattrappito dal cinismo e dal nichilismo. Non rassegniamoci a diventare una società di sussidiati, in cui i giovani fuggono all’estero alla ricerca di opportunità e in cui l’unica risposta che diamo sono il reddito di cittadinanza e i navigator. Le ingenti risorse che come europei abbiamo deciso di investire sul futuro sono un’occasione unica e forse irrepetibile per investire sulla conoscenza e sulle competenze e per procedere a riforme strutturali; dedicare il 2 o 3 per cento dei 209 milioni di euro a questa sfida è il primo modo per fare debito “buono” e costruire un futuro da protagonisti nell’Europa del lavoro, dello sviluppo e di un nuovo welfare.

Dario Odifreddi, Presidente Piazza dei mestieri