Da dove passa la lotta tra Di Maio e Conte per prendersi le spoglie del M5s

Categoria: Italia

L'ex premier ha rinunciato a un ministero e attende Giggino al varco del terzo mandato. Crimi se la intende con Zingaretti e serra le file. La scissione al Senato non c'è, ma tra i grillini già si litiga per i 15 posti da sottosegretari

VALERIO VALENTINI 17.2. 2021 ilfoglio.it lettura4’

Forse capendo che governare il caos è inutile, non solo difficile, Giuseppe Conte se n’è lavato le mani. Rocco Casalino continuava a incalzarlo (“Guarda che un posto da ministro non possono negartelo”), e lui già pensava alla sua cattedra di Firenze. “Del resto - diceva - per pensare alla guida del M5s, vanno rispettate delle regole”. E soprattutto a una, pensava, il fu avvocato del popolo: quella del limite dei due mandati. A tempo debito, dunque, la sfida interna con Luigi Di Maio si svolgerà ad armi impari.

E’ invece tutta ripiegata sul tempo che scorre la battaglia che il ministro degli Esteri combatte dalla Farnesina. S’è informato sul numero dei dissidenti, ha considerato che il rischio di smottamenti è comunque accettabile, anche perché la grande folla di aspiranti scissionisti s’è ridotta a un manipolo di irriducibili di cui Di Maio farebbe in fondo anche a meno senza grandi patemi d’animo. “Fossimo meno, ma più compatti, forse sarebbe anche meglio”, s’è sfogato giorni fa coi fedelissimi del giro campano.

Il problema, rispetto alla tenuta dei gruppi alla prova della fiducia a Mario Draghi, pende semmai sulla testa di Vito Crimi. Il quale, fedele al nuovo orientamento condiviso anche con Stefano Patuanelli e Paola Taverna, prova a tamponare l’emorragia di parlamentari scettici sul nuovo corso telefonando ai malintenzionati uno per uno, e a tutti dicendo la stessa cosa: “E cioè che nel governo Draghi ci entriamo innanzitutto per valorizzare il lavoro già svolto con Conte, e anzi impegnandoci a portare avanti il nostro programma”. Anche per questo, a metà giornata, il reggente si sente a telefono con Nicola Zingaretti, ribadendo l’urgenza di “rinsaldare il legame dell’alleanza”. E così, proprio alla vigilia della fiducia, il secondo piano di Palazzo Madama si anima di una strana operosità. Ettore Licheri si confronta con Andrea Marcucci, quindi con Loredana De Petris. Ne viene fuori un comunicato congiunto in cui i tre capigruppo annunciano la creazione di un intergruppo tra M5s, Pd e Leu. “E’ un espediente per non farci mettere sotto nelle dinamiche d’Aula e, dove il centrodestra avrà anche la sponda della Meloni”, mette le mani avanti Marcucci. Ben sapendo che nel suo gruppo, e nel correntone di Base riformista che ne costituisce la maggioranza, questa fuga in avanti verrà accolta con un certo allarme (e oggi, nell’assemblea alla Camera, anche Graziano Delrio dovrà placare la furia dei suoi).

Si vedrà se è una mossa strategica. Di certo ha un senso nella tattica di queste ore. E infatti anche Laura Bottici, senatrice grillina assai scettica sul nuovo esecutivo (“Stiamo mettendo l’Italia nella bocca di un Drago a cui abbiamo fornito anche quattro ministri come denti”, diceva nei giorni scorsi), ora tira un sospiro di sollievo: “Lo dicevo da tempo che, se partiamo dai temi, con Pd e Leu si può trovare un’intesa solida”. Gabriele Lanzi, emiliano tosto che su Rousseau aveva votato No col piglio di chi ha già assunto decisioni irrevocabili, torna sui suoi passi: “I nostri attivisti hanno scelto per il Sì, e io mi adeguerò. Del resto Draghi ha scelto in Forza Italia ha scelto tre nomi non graditissimi a Berlusconi, dalla Lega ha chiamato tutta gente dell’ala opposta a quella di Salvini. Anche questo è un segnale”. Insomma nella trincea del Senato, il presunto epicentro della scissione, oggi sono certi divotare in dissenso solo in tre (Crucioli, Granato e Angrisani), un altro paio restano in bilico, e una mezza dozzina - tra cui gli incendiari di ogni vigilia come Barbara Lezzi e Nicola Morra - sono orientati verso l’astensione.

Crimi spera comunque di limitare le insubordinazioni. “Perché è anche dalla nostra tenuta - dice - che dipende il nostro peso nell’esecutivo”. Il riferimento è alla spartizione di sottogoverno dei prossimi giorni. Il M5s è convinto di poter incassare 15 o 16 sottosegretari, e a individuarli saranno, oltre a Crimi, i due capigruppo. Metà senatori, metà deputati: questo è l’accordo. E tutti scelti sulla base delle competenze e non della rappresentanze territoriale. Solo che per definirla, la meritocrazia, il grillismo segue strade tutte sue. E così Anna Laura Orrico ha inviato a tutti i parlamentari una mail con la lista delle cose fatte in un anno e mezzo trascorso al Mibact. E quelli, spulciando, hanno capito che lei, cosentina, s’è spesa quasi solo per la Calabria. Carlo Sibilia, nel dubbio, s’è messo a cancellare i suoi vecchi tweet in cui dava del gangster a Draghi, chiedendo di arrestarlo. E Angelo Tofalo è finito bersagliato dalle critiche dei deputati della sua commissione di riferimento, la Difesa, che lo accusano di essersi occupato troppo di comunicazione. Mentre i deputati più giovani, quelli al primo mandato, organizzano delle videochat per dirsi a vicenda che sì, è arrivato anche il loro momento. Insomma, un rodeo. Da cui molti usciranno scontenti, alimentando nuove baruffe. E chissà come dovranno apparire lontane, a guardarle dall’Università di Firenze.