Jake Angeli&Demoni- Più che l’irreversibilità dell’euro, il punto è l’irreversibilità di Draghi e della svolta antipopulista

Categoria: Italia

Che c’importa della sincerità di Salvini? È più importante sapere se, ed eventualmente fino a quando, non solo in Italia, l’argine costruito contro una politica urlata riuscirà a tenere. E quando il Partito democratico si deciderà a scegliere da che parte della barricata schierarsi

Francesco Cundari, 23.2.2021 linkiesta.it lettura3’

Molti adesso si domandano, con l’aria di chi la sa lunga, quanto potrà durare e quanto ci potremo fidare della conversione europeista di Matteo Salvini, e sono ovviamente domande retoriche. Ma sono anche domande tremendamente ingenue, come se a qualcuno, tolti i parenti stretti e gli invasati, stesse davvero a cuore la sincerità dei politici.

Possiamo dare per scontato, senza scadere nella demonizzazione di nessuno, che ogni leader politico tenderà ad assumere le posizioni che riterrà elettoralmente più convenienti. La vera domanda, che non chiama in causa solo l’Italia, è dunque fino a quando per Salvini, per buona parte del centrodestra e per quel che resta del Movimento 5 stelle sarà conveniente scommettere sulla linea europeista, atlantista e liberaldemocratica su cui il governo di Mario Draghi è riuscito a sospingerli. In questione non è insomma l’irreversibilità dell’euro, ma l’irreversibilità di Draghi, e della svolta che il suo arrivo ha comportato per l’intero sistema politico.

Cambiando quel che c’è da cambiare, è la stessa domanda che si pongono in molti, proprio in questi giorni, anche negli Stati Uniti, a proposito di Donald Trump e delle sue mire sul partito repubblicano, e di conseguenza sulla Casa bianca, al prossimo giro.

E non dovrebbe esserci bisogno di sottolineare come per noi non si tratti soltanto di un’interessante questione di politica estera, considerato quanto radicalmente il nostro panorama politico sia cambiato, se non proprio in conseguenza, certamente in rapidissima successione temporale rispetto a un’analoga svolta della politica americana, dalla caduta di Donald Trump alla caduta di Giuseppe Conte. Checché ne dicano quei burloni che si ostinano a considerare Rocco Casalino e la piattaforma Rousseau come gli ultimi argini e baluardi contro il populismo. Del resto, soltanto in Italia qualche intellettuale progressista ha scambiato Jake Angeli per un seguace di John Rawls, dunque, in un certo senso, tutto torna. I punti di riferimento, evidentemente, sono quelli.

Senza bisogno di ricorrere all’abusata citazione di Antonio Gramsci sull’ottimismo della volontà o a una simile considerazione di Karl Popper che mi è capitata per caso sotto gli occhi su internet (quindi era probabilmente falsa, o magari era l’unico aforisma autenticamente pronunciato da Mark Twain), è abbastanza ovvio che alla politica non spetti il compito di profetizzare sventure, ma di fare il possibile per evitarle, scegliendo di conseguenza anche le parole e le paure da agitare o da respingere, a seconda del momento e della necessità.

Se insomma il populismo tornerà a travolgere tutto, europeismo e atlantismo, moneta unica e stato di diritto, non è una questione che i leader politici possano limitarsi ad adombrare nei talk show, magari pensando di potersi poi vantare di averlo detto. A loro – e un po’ anche a ciascuno di noi – sta piuttosto il compito di fare il possibile per evitare una simile regressione.

Sarebbe ora che ne prendessero coscienza, assumendosi le relative responsabilità, anche i cosiddetti riformisti del Partito democratico, prima di ritrovarsi in mezzo a sciamani e vichinghi in procinto di assaltare le istituzioni della democrazia liberale. O anche (di nuovo) accanto ad Alfonso Bonafede, che il suo contributo all’assalto contro i cardini dello stato di diritto lo ha già dato abbondantemente come ministro della Giustizia, e che ieri dalle colonne del Fatto quotidiano mandava due messaggi chiarissimi, ben riassunti nel titolo in prima pagina: «Rifondare il Movimento cinque stelle con Conte. Draghi, fiducia non in bianco».

Per quelli che ancora si ostinano a non vedere il nesso tra le due affermazioni, specialmente ai vertici del Partito democratico, bisognerà provare con un disegnino, che colleghi per bene tutti i puntini, dal rilancio della leadership di Conte (e della sua maggioranza) al tentativo di destabilizzare il nuovo governo. Ma forse sarebbe più utile un congresso.